È iniziato venerdì 12 ottobre il Corso per Operatori Pastorali che l’Arcivescovo Piero Coccia ha promosso per la formazione dei laici impegnati nei vari ambiti della diocesi. Il primo incontro è stato tenuto dal prof. don Giovanni Tangorra della Pontificia Università Lateranense sul tema “Chiesa e comunione”. Perché – ha esordito il relatore – le parole “discordia, solitudine, antagonismo” evocano in noi sensazioni raggelanti, al contrario delle parole “amicizia, comunità, comunione” che invece ci attraggono? La risposta è nell’esperienza di tutti: perché l’uomo non è “individuo”, ma “persona”, cioè “relazione”: per realizzarsi ha bisogno di stringere legami, di sentirsi parte di un tutto. Ma perché l’uomo possiede una natura “relazionale”? A questa domanda più profonda la Bibbia offre una risposta: perché è fatto a immagine di Dio, la cui natura è in se stessa “relazione trinitaria”. Questo “mistero”, che generalmente viene avvertito come astratto e lontanissimo dalla vita reale, illumina invece un dato assolutamente concreto e reale: l’anelito innato degli uomini alla comunione.
C’è un fondamento teologico in questa congenita esigenza umana. Gesù stesso, proprio perché in rapporto intimo con il Padre, ha vissuto la comunione con gli uomini, ha scelto la compagnia alla solitudine, ha incontrato volti, condiviso esperienze. Ed è così anche per la Chiesa: come ha sottolineato l’“ecclesiologia di comunione” di Adam Möhler, ufficializzata nel Sinodo dei vescovi del 1985, la Chiesa è sì una comunità umana, ma non viene dagli uomini; non è un’associazione filantropica o una società per azioni; non discende nemmeno dall’alto delle proprie istituzioni, dal papato o dall’episcopato; i suoi membri non stanno insieme per un accordo politico o una reciproca simpatia. Essa ha fondamento nel “mistero della comunione trinitaria”. La “comunità” (famiglia, parrocchia, diocesi, associazione, assemblea) è l’effetto, la forma concreta, carnale, di questa “comunione”, che ne è la causa originaria. La dimensione comunitaria, dunque, non è un optional per i cristiani: non ci può essere un cristianesimo “fai da te” né ci si può concepire individualisticamente. Certo, nella realtà quotidiana si deve fare i conti con fragilità, opinioni discordanti, tensioni e conflitti inevitabili; l’unità non è uniformità, ma c’è uno ius communionis da amare e da rispettare nello stile di vita a cui si è chiamati. Del resto, ha concluso il prof. Tangorra, tra la Chiesa e il Regno, tra la realtà e l’ideale ci sarà sempre uno scarto. Ma è l’ideale che permette al reale di non fermarsi e di avanzare.