“Cristo e la Chiesa: senza mai separare l’uno dall’altra. Sta qui la sintesi della sua vita e del suo apostolato”. Così scriveva Giovanni Paolo II in occasione della morte di don Luigi Giussani, avvenuta quattordici anni fa. È quanto ha sottolineato anche S.E. Mons. Piero Coccia, che venerdì scorso, per la ricorrenza, ha concelebrato una Santa Messa con diversi sacerdoti, in una Cattedrale gremita, ricordando anche il 37° anniversario del riconoscimento pontificio della Fraternità di Comunione e Liberazione.
Appartenenza. Ci sono due vie infatti – ha detto l’Arcivescovo – con cui possiamo esprimere la nostra gratitudine per il dono concessoci dal Signore di partecipare alla storia particolare generata oggi dal carisma di don Giussani. La prima è quella di una appartenenza alla Chiesa senza tentennamenti né personalismi e senza disorientamenti di fronte alle ferite da cui essa è purtroppo lacerata: la Chiesa infatti è fondata sulla roccia di Gesù Cristo e Pietro ha ricevuto il compito di guidarla solo dopo aver riconosciuto in Lui il Figlio del Dio vivente. Grazie allo Spirito e ai suoi pastori, perciò, la comunità ecclesiale sarà sempre illuminata, incarnata, inviata con la precisa missione di comunicare l’avvenimento di Cristo agli uomini.
Carisma. La seconda via – ha proseguito l’arcivescovo – è quella di vivere responsabilmente il carisma proprio di CL, quello per cui è stata suggerita l’intenzione della Santa Messa: “crescere nell’intelligenza della fede, nella certezza della speranza e nell’ardore della carità a servizio della Chiesa e degli uomini”. Don Giussani ha avuto l’intelligenza di scorgere nella realtà la presenza del Signore; ha posseduto una speranza certa nell’esito finale, che ha determinato il suo presente; è stato animato da un ardore costruttivo nei confronti della vita, della storia, della Chiesa a cui apparteniamo, della comunità umana che serviamo.
Formigoni. Proprio alla “intelligenza della fede” si è appellato anche Mauro Zagaria, responsabile della comunità di Pesaro, decidendo di leggere, dopo aver ringraziato l’Arcivescovo per la sua paternità, il comunicato dell’Ufficio Stampa di CL sulla condanna di Roberto Formigoni: “Se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme” (san Paolo). In questo momento soffriamo insieme a Roberto, nella consapevolezza che solo Dio può ultimamente e veramente vedere il cuore dell’uomo e può rispondere al bisogno di misericordia che tutti abbiamo. Lo accompagniamo con la preghiera in questa circostanza per lui così drammatica, che viviamo come un potente richiamo alla conversione di ciascuno di noi. Nessuna prova può cancellare la compagnia che Cristo fa alla nostra vita, consentendoci di ricominciare sempre, nell’umile certezza che tutto collabora misteriosamente al bene: questo è ciò che domandiamo al Padre per Roberto e per noi”.