Nel giorno del 1 maggio anche quest’anno, come avviene ormai da oltre 10 anni, la diocesi di Fano Fossombrone Cagli Pergola ha celebrato San Giuseppe Lavoratore con la Santa Messa presieduta dal Vescovo Mons. Andrea Andreozzi nella chiesa di Villa Bassa al Prelato.
L’iniziativa è stata promossa dall’Ufficio diocesano per i problemi sociali e il lavoro, con la collaborazione di associazioni che si occupano del tema del lavoro tra cui le Acli, l’Azione Cattolica e l’Ucid. Nell’omelia il Vescovo Andreozzi ha ricordato come Gesù, apprendista ed artigiano nell’officina di suo padre Giuseppe, riporti al senso più profondo e teologico del disegno divino: il Figlio che è chiamato a fare la volontà del Padre per diventare erede degno dell’opera creatrice celeste. Nella vita chi si appresta a cominciare un lavoro è chiamato a imitare il modello di successo del padre per esserne un degno successore. Similmente oggi accade nelle aziende di famiglia, quando i figli succedono al genitore fondatore. Questo avviene non senza incorrere in conflitti generazionali sulle scelte da operare nell’evoluzione del business per garantire continuità produttiva. In questo passaggio di testimone non deve allora scandalizzarci l’ambiente lavorativo umile di Gesù operaio nella bottega, poiché in esso vengono esaltati la dignità, l’impegno, il valore e l’importanza anche dei mestieri più umili. Poi, prendendo spunto dal libro della Genesi, in particolare dal versetto che recita “E Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò: maschio e femmina li creò”, il Vescovo ha sottolineato quanto sia preziosa agli occhi del Signore la figura femminile meritevole, al pari dell’uomo, di dignità e opportunità anche nel mondo del lavoro. Al termine della celebrazione, il direttore dell’Ufficio Gabriele Darpetti ha brevemente accennato al documento dei Vescovi italiani predisposto per il 1 maggio, dal tema “Il lavoro per la partecipazione e la democrazia”, dove si dice che lavorare non è solo un “fare qualcosa”, ma è sempre agire “con” e “per” gli altri, con una dose di gratuità che libera il lavoro dall’alienazione ed edifica la comunità: «È alienata la società che, nelle sue forme di organizzazione sociale, di produzione e di consumo, rende più difficile la realizzazione di questo dono ed il costituirsi di questa solidarietà interumana» (Centesimus annus, 41).