Un diario di viaggio attraverso i territori della psiche. Questo è “Libretto di transito” l’ultimo lavoro di Franca Mancinelli, poetessa fanese. E proprio all’autrice abbiamo chiesto come è nata l’idea di questo suo nuovo lavoro e che cosa rappresenta.
Franca, innanzitutto come nasce il tuo ultimo lavoro “Libretto di transito”?
Cercavo da anni un luogo in cui potere radicarmi e abitare, e questo libro mi ha aiutato a riconoscerlo, a sentire la faglia che si apre sotto i piedi, ogni volta che poggiano a terra. La faglia è uno spazio dissestato, di distruzione, ma anche di continua rigenerazione. Tendiamo a cercare forme stabili e fisse, a dimenticare che la nostra è un’esistenza di transito e che, come scrive Simone Weil in una frase che ho scelto come epigrafe a questo libro, “In verità l’albero è radicato in cielo”. Torna l’immagine di una fenditura che si apre, di una falda che non si può riparare, di una “piccola faglia” che affiora nel petto dell’amato portandolo a disfarsi e rientrare nel buio della natura. Il dolore viene affrontato attraverso dei gesti rituali, che portano a una sorta di cancellazione o ritorno nel corpo della terra, in una forma di presenza aperta, in cui la parola viene resa alle foglie.
Ci sono differenze in quest’ultimo lavoro rispetto alla tua produzione precedente?
I miei primi due libri, Mala kruna (2007) e Pasta madre (2013), sono in versi, Libretto di transito invece è in versi che non vanno a capo. Raccoglie frammenti in prosa e micro-narrazioni, sequenze di paesaggi psichici uniti nel filo sussultorio di un viaggio in treno, tra sonno e veglia, guardando fuori e dentro di sé. Tornano, come in Pasta madre, pagine bianche a scandire i momenti in cui la visione si deposita e le parole sono restituite al silenzio che le ha generate.
Quali sono le tematiche che predominano all’interno del volume?
Il viaggio è il tema principale di questo libro che ho chiamato Libretto anche pensando a un piccolo libro di navigazione, di circolazione, a qualcosa di necessario che accompagna e registra il nostro andare. Il viaggio-transito più importante, a cui alludo fin dal primo testo, è quello verso un’altra forma di esistenza. Come Pasta madre anche questo libro si apre e si conclude con un sonno. È un ritorno a uno stato di soglia, di rigenerazione e di metamorfosi. Da questo luogo nasce la parola poetica. Per questo ho intitolato la riedizione dei miei primi due libri A un’ora di sonno da qui (Italic Pequod 2018), riprendendo un verso di Pasta madre.
Come potresti definire il tuo ultimo libro in poche parole?
“La storia dell’attraversamento di una faglia interiore, un diario di viaggio attraverso i territori della psiche” (sono le parole della quarta di copertina della traduzione inglese di John Taylor di Libretto di transito, The Little Book of Passage uscita nel 2018, presso The Bitter Oleander Press, Fayetteville, New York).