PESARO – Cattedrale gremita venerdì 18 agosto per l’ultimo saluto a don Giorgio Giorgetti. A celebrare il rito funebre l’Arcivescovo di Pesaro monsignor Piero Coccia. A concelebrare anche monsignor Giuseppe Orlandoni, Vescovo emerito di Senigallia e già delegato della CEM per la pastorale degli immigrati. Presente gran parte del presbiterio di Pesaro e di Fano, diocesi che aveva dato i natali a don Giorgio nato a Fossombrone il 9 giugno 1947 e ordinato sacerdote il 22 dicembre 1973. Il feretro di don Giorgio verrà tumulato a Fossombrone nella cappella di famiglia. Al termine del rito è stato letto un messaggio del Tribunale Rabbinico a firma di Vittorio Robiati Bendaud (qui il link)
La morte di una persona cara produce sempre dentro di noi una grande tristezza. Ma la scomparsa di don Giorgio non solo ci ha rattristati ma ci ha lasciati costernati per la sua imprevedibilità e la sua modalità. E’ vero che la morte fa parte della vita, ma quando essa giunge così fulminea e bussa alla nostra casa, tutti rimaniamo esterrefatti. E’ allora che ancora di più ci rendiamo conto della verità dell’insegnamento di Gesù e del suo Vangelo: “Vegliate dunque perché non sapete né il giorno né l’ora” (Mt 25,13). Ma la scomparsa di don Giorgio oltre la costernazione, quale reazione ha prodotto dentro di noi? Probabilmente abbiamo provato sì costernazione e tristezza ma anche senso di impotenza. Ancora una volta la sua morte ci ha fatto toccare con mano il limite della condizione umana. E’ questo limite che ci fa invocare l’esperienza della fede nel Signore Risorto, unica prospettiva per leggere ed affrontare la morte.
In questa ottica di fede nel Risorto, siamo confortati dalla parola del Signore che è lampada ai nostri passi. Infatti il libro della Sapienza (4, 7-15) ci ha ricordato che “…Il giusto, anche se muore prematuramente, si troverà in un luogo di riposo. Vecchiaia veneranda non è quella longeva, né si misura con il numero degli anni; ma canìzie per gli uomini è la saggezza, età senile è una vita senza macchia. Divenuto caro a Dio, fu amato da lui e, poiché viveva fra peccatori, fu portato altrove”. Questo passaggio del libro della Sapienza riferito a don Giorgio, non necessita di alcun commento poiché esso ci dà motivazione e consolazione per sua morte. San Paolo nella seconda lettera ai Corinzi (4, 14 – 5, 1) è altrettanto chiaro in merito alla risurrezione che ci attende dopo la morte: “Fratelli, siamo convinti che colui che ha risuscitato il Signore Gesù, risusciterà anche noi con Gesù e ci porrà accanto a lui insieme con voi. [….] Sappiamo infatti che, quando sarà distrutta la nostra dimora terrena, che è come una tenda, riceveremo da Dio un’abitazione, una dimora non costruita da mani di uomo,eterna, nei cieli”. Quanto S. Paolo ci dice, don Giorgio lo ha creduto e vissuto. Ciò ci conforta. Da ultimo Gesù nel Vangelo di Matteo (25, 1 – 13) con la parabola delle dieci vergini, di cui cinque stolte e cinque sagge, ci ammonisce ad essere vigilanti nella vita con una laconica affermazione: “Vegliate perché non sapete né il giorno né l’ora”. La modalità della morte di don Giorgio sia per tutti noi monito per vivere con responsabilità il percorso terreno riconoscendoci tra le vergini sagge. Don Giorgio sicuramente ne ha fatto tesoro e ciò ci rasserena. Ma andiamo oltre e facciamo una considerazione che ci è suggerita dall’esperienza quotidiana.
Ogni volta che una persona cara ci lascia, dentro di noi si innesca un meccanismo che ci porta a chiederci: cosa ci rimane di questa persona, del suo insegnamento, della sua testimonianza di vita? Tutti abbiamo conosciuto, amato e stimato don Giorgio ed ognuno di noi si porta dentro ricordi, emozioni, sensazioni, esperienze, riflessioni che vanno ad arricchire il nostro patrimonio interiore. A me è caro però sottolineare alcuni tratti della sua vita che credo tutti abbiamo colto ed apprezzato e che costituiscono la sua vera eredità. Il primo. Don Giorgio era l’uomo ed il sacerdote dello stupore. Sapeva meravigliarsi e gioire di tutti quegli elementi che il Signore aveva messo nel cammino della sua vita: persone, esperienze, novità, sfide ed altro. In ciò era aiutato da un animo puro e genuino ma anche da una solida formazione sacerdotale che aveva ricevuto e lo aveva strutturato. In lui si riscontrava quella semplicità evangelica che gli consentiva di cogliere le esperienze nella loro profondità ed essenzialità. Tutti abbiamo bisogno di trovare o ritrovare il senso dello stupore per appassionarci alla vita nel suo insieme che è e rimane dono del Signore. Altro elemento che don Giorgio ci ha indicato nel cammino terreno, è stato l’amore incondizionato al Signore presente nella sua parola. Un amore che aveva scoperto negli anni della sua formazione teologica ma che aveva continuato a coltivare con passione nel suo ministero sacerdotale. Va sottolineato che questa parola don Giorgio non solo l’ha conosciuta, amata e studiata, ma l’ha interiorizzata e praticata. In lui la parola del Signore si è fatta carne in tante modalità che lo hanno coinvolto sul piano personale e ministeriale. In questa prospettiva vanno lette alcune esperienze da lui vissute con grande entusiasmo. Inoltre della vita di don Giorgio non si può dimenticare la sua costante attenzione agli ultimi, ai diseredati, ai bisognosi, ai dimenticati. La dignità della persona costituiva per lui il fulcro di tanti progetti che lo hanno visto protagonista come parroco, come Direttore della Caritas diocesana e come Direttore dell’Ufficio diocesano e regionale della pastorale degli immigrati. Voglio sottolineare che il suo lavoro riguardo al mondo del disagio, ampiamente inteso, non è stato caratterizzato da buonismo o da assistenzialismo, ma da una forte valenza educativa tesa a coscientizzare e a responsabilizzare la persona in merito alla sua dignità. In questa ottica era in grado di accogliere le persone con grande disponibilità e senza pregiudizi, di ascoltarle nei propri drammi esistenziali e di accompagnarle in cammini formativi tesi a volte a ricostruire la dimensione umana.
Don Giorgio ci lascia anche l’eredità di una persona animata da notevole interesse culturale che lo portava a seguire fenomeni del nostro tempo e a coglierne la ricaduta a livello locale. La sua però non era semplice conoscenza o analisi, sentiva in sé l’ansia di elaborare una prospettiva evangelica con cui affrontare e soluzionare i nodi decisivi della vita delle persone e della società. Per lui la cultura era il vangelo incarnato. Di don Giorgio mi è caro ricordare anche la sua grande disponibilità alle necessità della chiesa locale. Ogni volta che come Vescovo gli ho chiesto qualcosa, l’ho trovato sempre pronto, umile, disponibile ed obbediente pur dovendo fare qualche sacrificio. Raccogliamo dunque questa ricca eredità che don Giorgio ci lascia. Ringraziamo il Signore per quanto, attraverso la sua persona ci ha fatto scoprire e capire. Valorizziamo personalmente ed ecclesialmente la sua testimonianza.
Chiudo con una riflessione da cui come pastore di questa chiesa non posso esimermi. Con la morte di don Giorgio il numero dei sacerdoti diocesani su cui poter contare per il ministero attivo, si assottiglia ancora di più. Abbiamo raggiunto una situazione che ha del drammatico per la nostra chiesa locale di Pesaro. Cosa fare:disperare o sperare? Siamo animati dalla grande fede nel Signore che genera sempre la grande Speranza. Ma come comunità diocesana ci attendono però tre precisi compiti da cui non possiamo né dobbiamo tirarci indietro. Il primo, quello della preghiera per invocare dal Signore nuove e valide vocazioni al sacerdozio, alla vita religiosa e consacrata. A questo riguardo faccio un accorato appello alle famiglie cristiane perché esse vivano l’esperienza della fede, della preghiera e diventino terreno fecondo per il sorgere delle vocazioni. Il secondo, quello di una sempre maggiore corresponsabilità delle parrocchie nell’affrontare le sfide che stiamo vivendo, superando impostazioni pastorali caratterizzate da autosufficienza. Come altre volte abbiamo detto e abbiamo sottolineato, la nostra chiesa è chiamata a crescere nell’esperienza della comunione, anche strutturale, della corresponsabilizzazione e della collaborazione. Il terzo. Continuare ad investire nella formazione dei laici perchè siano sempre più in grado di assumere compiti e responsabilità specifiche nella comunità cristiana e nella società civile per essere “una chiesa in uscita”. Al riguardo valorizziamo, frequentandolo, il nuovo ISSR marchigiano “Redemptoris Mater” che dal mese di ottobre avrà qui a Pesaro uno dei due suoi poli formativi a distanza. La scomparsa di don Giorgio richiami la nostra chiesa locale a questa triplice responsabilità di cui anche lui aveva piena coscienza e a cui aveva dato risposta con grande generosità.
Termino. Ringrazio tutti coloro che hanno condiviso con l’Arcidiocesi la perdita di questo sacerdote. Ringrazio coloro che sono stati vicini a don Giorgio, in particolare la sua famiglia e tante persone amiche. Un ringraziamento sentito lo esprimo a tutto il presbiterio ed in particolare ai sacerdoti dell’Unità pastorale del Centro Storico che con spirito di fraternità sacerdotale hanno realizzato insieme a don Giorgio i cammini pastorali di questi ultimi anni. Un ringraziamento affettuoso lo esprimo a S. E. Rev.ma Mons. Giuseppe Orlandoni oggi con me concelebrante, vescovo emerito di Senigallia che come delegato della CEM per la pastorale degli immigrati, ha avuto in don Giorgio un valido collaboratore. La Madonna delle Grazie e S. Terenzio accompagnino il cammino della nostra chiesa animata dalla speranza cristiana e chiamata a dare risposta alle sfide dei nostri giorni. Sia lodato Gesù Cristo.
+ Piero Coccia – Arcivescovo di Pesaro (Omelia in occasione delle esequie di don Giorgio Giorgetti – Pesaro, Cattedrale – Basilica, 18 agosto 2017)
1 commento
Che dire …una cerimonia davvero toccante.Don Giorgio ha lasciato un segno indelebile in ognuno di noi ..