Si sono conclusi in settimana gli esami di maturità 2017. I mezzi di informazione li hanno raccontati in maniera tradizionale evidenziando l’immancabile l’ansia della “Notte prima degli esami” e gli strafalcioni degli studenti (quest’anno in buona compagnia col Ministero dell’Istruzione). C’è chi ha snocciolato i numeri delle statistiche, chi ha addossato responsabilità varie a genitori ed insegnanti. Ma l’esame di maturità è anzitutto un appuntamento determinante nel percorso di crescita di ciascuno studente. Tra le storie più significative che emergono da questa maturità 2017 una arriva proprio da Pesaro. A raccontarla è Alice Pecorario nella sua tesina presentata lo scorso 11 luglio. «Alice ha 24 anni – dice Silvio Cattarina responsabile della Comunità L’Imprevisto di Pesaro – e si è brillantemente diplomata al liceo linguistico Mamiani. Sarda di origine nel 2011 è approdata all’Imprevisto (comunità terapeutica femminile Tingolo) in seguito ad una giovinezza difficile, tumultuosa e costellata da tante esperienze negative. Gli ultimi mesi del suo positivo percorso di recupero li ha vissuti, insieme ad altre ragazze, nella casa della professoressa Maria Pia Gennari, che l’ha donata in eredità alla operativa sociale Imprevisto».
“L’adolescenza è promossa dal desiderio che, proprio in quel periodo della vita ha la sua massima espressione. Il desiderio è spesso in conflitto con la realtà che non è costruita apposta per soddisfare desideri” (Umberto Galimberti: L’ospite inquietante: il nichilismo e i giovani). Durante questo periodo così burrascoso e drammatico della mia vita il mio cuore gridava: chi sono io? Cosa ci faccio al mondo? Il fatto che questa urgente domanda di senso non trovasse soddisfacente risposta nei miei genitori, professori, compagni, amici insomma nella mia realtà quotidiana mi ha portato a sperimentare altre vie. Nel “Principio del piacere e felicità” Freud afferma: “Con l’aiuto dello scacciapensieri sappiamo dunque di poterci sempre sottrarre alla pressione della realtà e trovare riparo in un mondo nostro”. Io ho cercato in tutti i modi di sfuggire a questo dolore: non ho più voluto assumermi le mie responsabilità, ho lasciato la scuola e mi sono chiamata fuori dal rapporto con i miei genitori, individuando in loro i responsabili della mia sofferenza. Come in Zeno, protagonista del romanzo di Svevo, ha agito anche su di me un processo di deresponsabilizzazione, fatto di autoinganni e meccanismi di innocentizzazione. L’abbandono della scuola e della famiglia ha segnato la mia chiusura totale nei confronti della realtà. Nonostante io abbia cercato di vivere secondo le mie regole, quindi continuando a fare e farmi del male, per usare le parole di Ungaretti “non sono mai stato tanto attaccato alla vita”. Infatti nonostante stessi percorrendo la strada sbagliata, e la scegliessi ogni giorno, sentivo di voler cambiare la mia condizione; non ero nata per stare male; e sentivo quello che Ungaretti afferma nei Fiumi: “il mio supplizio è quando non mi sento in armonia”.
L’IMPREVISTO E LA MIA FAMIGLIA
Così ho iniziato ad accogliere chi mi voleva aiutare. Come Eveline, protagonista dell’omonima opera di Joyce, mi sono trovata davanti ad una scelta che avrebbe cambiato la mia vita. “Si alzò in un improvviso impulso di terrore. Fuggire! Fuggire! Frank l’avrebbe salvata”. Però “Riconobbe quella musica straniera che doveva esserle arrivata per ricordarle la promessa fatta a sua madre, la promessa di mantenere la famiglia unita finché poteva”.Io diversamente da leiovevo tenereede ad un’altra promessa. I miei genitori implicitamente, fin dalla mia nascita, hanno immaginato per me una strada, alimentando ogni giorno la mia promessa di vita. Così sono riuscita a reagire alla paralisi che aveva invece immobilizzato Eveline. A diciotto anni sono partita e sono entrata all’Imprevisto. Gli anni passati all’Imprevisto, ma soprattutto gli ultimi anni, durante i quali ho ripreso il mio percorso scolastico, potrebbero essere riassunti con una citazione di Baudelaire: “Anche nel male c’è del bene”. Infatti come il poeta ha fondato la sua poetica sulla creazione della bellezza partendo da soggetti negativi e insignificanti, così è accaduto a me; i miei operatori, professori e compagni mi hanno guardato nello stesso modo. Riprendere la scuola è stata una delle sfide più faticose che ho dovuto affrontare. Totalmente sfiduciata riguardo le mie capacità non mi rimaneva che fidarmi dei professori e degli altri adulti che mi stavano intorno. Tutti hanno scommesso nuovamente su di me, certi che ce l’avrei fatta. Nessuno si è lasciato influenzare dalle mie lacune e con loro ho maturato la fiducia necessaria per arrivare fino a questo giorno. La scuola è stata fondamentale non solo per riacquistare fiducia e autostima, ma ancora di più per imparare a stare nuovamente nella realtà.
LA SCUOLA AL DI LA’ DELLO STUDIO
Infatti l’impegno che mi è stato richiesto a scuola non ha riguardato solo ed unicamente lo studio. Oserei dire che il mio impegno è stato di tipo sociale ed è diventato tale perché mi sono accorta di avere un valore ed essere portatrice di ciò. Per dare senso al mio nuovo percorso dovevo necessariamente rimettermi in gioco e chiedermi: tra me e i miei compagni, tra me ed i miei professori ci poteva essere qualcosa di più, un rapporto umano? Per i miei compagni ero solo più grande con esperienze di vita diverse o potevo essere un esempio? Ecco perché lo definisco impegno sociale.Ed ecco anche perché mi sono particolarmente riconosciuta in alcuni autori studiati quest’anno, è il caso di esempio Isabel Allende. L’autrice racconta in “Paula” delle ripercussioni che la guerra civile e il colpo di stato di Pinochet hanno avuto sulla sua vita: la perdita del lavoro come giornalista, l’attacco per essere una femminista e la fuga dal suo Paese in quanto nipote dell’ex presidente Allende. Anche lei, avendo vissuto delle esperienze drammatiche in prima persona, in seguito ha guardato la sua vita con una sensibilità diversa e ne ha fatto qualcosa di grande. Chiaramente il mio impegno non ha avuto un ampio respiro come il suo, ma nel mio piccolo ho sentito la stessa missione. Penso quindi che in il mio percorso scolastico mi abbia insegnato molto più di nozioni e metodo di studio. Ho intitolato la mia tesina “Il mio romanzo di formazione” perché questa esperienza è stata un’evoluzione verso la maturazione e l’età adulta. Oggi so chi sono, sono Alice e sono certa che ci sia un posto nel mondo anche per me. Ho trovato la mia strada, “sono tornata a casa”.