Giovane di belle speranze nonostante tutto, Valentina Balducci (1990) ha già tre lauree magistrali – in Lettere e in Filosofia, con affondi su Plauto e Spinoza – e una consolidata passione per la poesia. Ne dà conto “Qualcosa del tempo trascorso” (Aras, Fano, 2016), una ricca raccolta apparsa nella Collana “Ponti di carta” fondata e diretta da Franca Mancinelli. Come si legge nell’introduzione di Cristina Santinelli e nella postfazione di Daniela Bostrenghi, si tratta di vita offerta alla vita dei lettori, entro un cammino compiuto con il giusto distacco, ma anche con tenacia e determinazione. Lo conferma la stessa Autrice nella nota iniziale, parlando di diario di bordo della propria interiorità, destinato al prossimo e alla ricerca di sentieri dove “riconoscere e portare alla luce la parte più nascosta, a volte più nociva, feroce, crudele” del suo io. Limpide e fluenti fin dalla prova esordiale (Fragmenta, 2009), le poesie di Valentina Balducci sono l’affresco di una libertà interiore che spazia dall’esaltazione elementare della vita all’analisi delle sue incessanti metamorfosi, sul crinale di una biografia che assume spesso i tratti di una mitografia. Alla giovane studiosa vadese il mito offre fondamenti: mitica è la natura, mitico è l’Amore, benché «cannibale»; mitico il desiderio di altra vita, il sogno di rinascere come la Fenice dalle proprie ceneri per compensare lo strapotere di una realtà spesso ostile: «E chi sono io / che l’umanità evita /con lo sguardo / rivolto altrove, / dimentica / della coscienza / e del coraggio?» «Sono figlia vagante, un refuso / nel ritratto di famiglia. / Senza meta, sospesa su una fune / intessuta d’incertezza, d’amarezza… / talvolta d’allegria». Dal combattimento spirituale fra desiderio di dimenticare e necessità di ricordare (oblio e rimembranza sono parole ricorrenti nella silloge), fra slanci e disillusioni nell’annodarsi e perdersi di amicizie, relazioni, sentimenti, spesso affiora il pensiero che la vita senza miti sarebbe più povera, più insensata, più labile.
Il mito non assicura vantaggi alla nostra poetessa, ma significati: dona bellezza – «Verso un nuovo orizzonte / mi libro da Fenice / dopo una notte da Prometeo»; illumina volti ed eventi, nel bene e nel male: «Come Perseo un tempo, / io nell’oggi, sento ancora / i piedi ornati d’ali / e anche se il viaggio si è interrotto / tanta è la voglia di riprenderlo, / travolgente la speranza / di una partenza non lontana». Mossa da un bisogno primario di felicità, la vita in versi di Valentina Balducci si snoda in molte pagine col ritmo di una pièce teatrale – «Cada la maschera, si apra il sipario!» – fra modulazioni di toni semiseri, colpi di scena e scenografie ispirate alla terra marchigiana: «Questa mia terra / bella da togliere il fiato, / ha un cuore di fuoco / che arde ogni stagione. / […] Dorme pigramente distesa /abbracciando i borghi / perduti dai duchi, / dimenticati dai maldestri principi d’oggi». Ironia, autoironia e frecciate salaci sul mondo attuale si fondono con naturalezza a slarghi ragionativi o descrittivi, all’invito al lettore a partecipare alla passione del testo: «Sotto il vetro c’è l’amore. / Messo lì, come uno strano esperimento. / Caro Lettore, non ho ancora capito come usarlo: il mio cuore è un aggeggio scanzonato, / talvolta funziona all’incontrario». Invito che si accoglie con gratitudine perché “Qualcosa del tempo trascorso” è opera di verità, sostenuta dall’andamento elegante e spontaneo dello stile.
Un virtuoso intreccio che nelle sequenze ispirate alla rivelazione del “femminile” sa rendere universali i più intimi moti dell’animo, sia quando sosta sullo sbocciare delle attese, sia quando diviene parte del tripudio creativo osservato in natura, o invocazione aperta alla trascendenza: «Apri il mio intelletto / a mondi rigenerati da nuova luce». Ma è soprattutto nel dialogo con la madre, fine ricamatrice, che Valentina sa lanciare un ammaliante ponte di parole fra origine, tempo trascorso e ricerca di identità, in un intenso gioco di distinzione e rispecchiamento. Affinità elettive, verrebbe da dire, pensando a ricamo e scrittura, all’unicità della «passione» che trasfigura, alternando pieni e vuoti, il bianco della tela come il bianco della pagina. Proprio su tale consonanza giostra la poesia che, fra le innumerevoli di valore, si è voluto scegliere a compendio di queste note, nel tentativo di mettere in luce lo Spirito dell’intera raccolta.
A mia madre
Nelle torride sere di luglio
o in quelle d’inverno scorbutico,
senza posa, imperterrita
continui a stendere la tua tela
di candide trame.
Il tuo affresco di lino
farebbe impallidire Aracne
ma otterrebbe il rispetto di Atena,
che senza dubbio amerà
l’umiltà e la costanza
delle tue favole in filet.
Dimessa e costante
giostri fili di lino
con il tuo stiletto d’argento
come fosse un immenso teatrino
dove attori di un tempo che fu
dormono sereni avvolti
da una coltre di neve.
Le tue favole ti sembrano
cadute in un oblio
cui il Lete ha condotto
in tempi recenti
l’abilità delle mani,
ma in realtà trovano
il loro risveglio
nella mia vergine carta.
E allora, un giorno,
splenderanno di vita,
insieme,
lino e poesia,
saranno terreno fertile
dove un soffio vitale
farà germogliare
la coltre della speranza.
La scrittura mi ha liberata dall’involucro
«Una condizione di disabilità – spiega Valentina – ci impone dei limiti che potremmo figurarci come delle sbarre. Si vive per forza in una specie di prigione. Ecco, la scrittura, dimostrandomi che si può toccare il cuore degli altri, mi permette di accattivarmi il sostegno e l’affetto di persone che per me sono importanti. Un tempo mi sembravano inavvicinabili (perché il pregiudizio nei miei confronti può facilmente costringermi ai margini dell’attenzione). La scrittura mi ha mostrato che esisteva un modo per raggiungere una ‘parità’ che la vita quotidiana più banale mi nega e che si svolge sul piano del confronto delle anime. Insomma, mi ha permesso di andare oltre le sbarre o, come amo dire, oltre l’involucro. Può sembrare scontato, ma non lo è affatto».
Valentina Balducci è nata a Sassocorvaro nel 1990, ma da sempre vive a Sant’Angelo in Vado. Dopo gli studi tecnici, la passione per le materie umanistiche la porta a conseguire la laurea magistrale in filologia moderna (Sulla tradizione umanistica di Plauto: con entrambe le tesi di laurea, triennale e magistrale studia i codici di tradizione umanistica riguardanti, per l’appunto, le commedie plautine, rispettivamente nel 2012 e 2015) e in Filosofia della conoscenza, della natura, della società (con una tesi sul filosofo olandese Baruch Spinoza, e, per la precisione, sul valore educativo della filosofia di Spinoza). L’ultima laurea è dello scorso 8 febbraio 2017, anche questa presso l’Università di Urbino. Qualcosa del tempo trascorso è la prima pubblicazione di Valentina che attualmente sta proseguendo i suoi studi, sempre presso l’Università di Urbino, con il corso di laurea magistrale in Storia dell’arte.
A cura di Roberto Mazzoli