Autunno: un meraviglioso tappeto multicolore copre il prato e il cortile. Ci sono tutti i toni del giallo, del rosso, dell’arancio, del marrone, il capolavoro pittorico della natura si svela ai miei occhi in tutta la sua magnificenza. Mentre lo contemplo assiso sul divano delle Muse interrompe la mia onirica visione la voce della consorte: “Potresti raccogliere tutte quelle foglie”. Si scrive potresti e si legge devi! Con un sospiro, armato di pala e rastrello mi accingo a distruggere quel capolavoro. Mentre la consorte esce per fare la spesa ed io ho quasi terminato sentendomi Gengis Kan che demolisce i resti della civiltà romana, un refolo di vento fa cadere altre foglie e ricopre prato e cortile dello stesso tappeto multicolore. La natura è dispettosa e reagisce alla mia opera. Appena torna la signora che condivide con me gioie e pene dell’esistenza. “Non ti chiedo mai nulla, per una volta che ti prego di raccogliere le foglie dal prato … – e si accinge ad adempiere personalmente a quello che pensa sia un mio preciso dovere, – in questa casa devo fare tutto io”.
Provo a spiegare che sarebbe più utile ed ergonomico attendere che tutte le foglie siano cadute per compiere l’operazione definitivamente e in un colpo solo. Non c’è nulla da fare, la riflessione suona di scappatoia e non convince nemmeno me. D’ora in avanti pala e rastrello sono pronti a pulire in bella mostra davanti al garage. “Ma non potresti mettere a posto quegli attrezzi?” Lo faccio cantando sottovoce Les Feuilles Mortes di Jacques Prévert nella versione di Edith Piaf.
Alvaro Coli