È stata una grande festa di popolo quella che martedì 24 settembre è stata celebrata in onore del Patrono della nostra Arcidiocesi e della nostra città, San Terenzio. Altissima l’affluenza dei fedeli e folta anche la presenza delle autorità civili e militari, ad iniziare dal Prefetto, dal Sindaco e dal Questore, riunitesi intorno all’Arcivescovo Piero Coccia per la solenne processione lungo le vie del centro e per la concelebrazione eucaristica delle ore 18 in Cattedrale. Come ogni anno, al termine della funzione liturgica sono stati ricordati gli anniversari di ordinazione sacerdotale. Quest’anno: don Silvano Pierbattisti, don Giuseppe Signoretti, don Orlando Bartolucci e quelli di Professione religiosa di suor Clelia Selvi, suor Brumilde Venturini, suor Angela Hurtado. Riportiamo a seguire i passaggi fondamentali dell’omelia di S.E. Mons. Piero Coccia.
Comunione. La celebrazione della solennità di S. Terenzio ci permette di concentrare la nostra attenzione sulla parola di Dio, che ci sorprende per la sua attualità. Nel vangelo di Giovanni, Gesù dice ai suoi discepoli: “Come il Padre ha amato me, così anch’io ho amato voi. Rimanete nel mio amore”. Questo indica due cose. Il Signore ci ha amato e ci ama e ha creato con noi un rapporto di comunione inscalfibile. Siamo invitati a vivere questa comunione, coscienti che non noi abbiamo scelto Lui ma Lui ha scelto noi e ci ha costituiti perché potessimo andare e portare frutto.
Sulla stessa linea si collocano la lettera di S. Paolo ai Corinzi e il profeta Isaia, il quale ci dà due certezze: tutti noi siamo stati consacrati e inviati a portare il lieto annunzio del mistero del Cristo. Dunque la liturgia si concentra sul mistero del Cristo che ci chiama alla comunione e alla missione.
Su queste due esperienze di sinodalità ed esodalità abbiamo riflettuto, venerdì e sabato scorso, nell’annuale Convegno diocesano, seguendo il Magistero di Papa Francesco e dei vescovi italiani. In quale modo esse interpellano la chiesa di Pesaro? Sottolineo quattro aspetti in cui la sinodalità va attuata.
Sinodalità. Il primo è certamente quello teologale. L’Eucaristia è la fonte della sinodalità. Essa ci consente di fare comunione con il Signore e di camminare insieme con lui. Il secondo livello riguarda la prassi ecclesiale: faccio riferimento ai Consigli pastorali parrocchiali, a quelli vicariali, ai Consigli per gli Affari economici e alle tante forme di partecipazione alla vita della comunità. Non ultima la cooperazione missionaria. La nota mancanza di clero mi ha spinto a chiedere aiuto a pastori di chiese sorelle per avere dei sacerdoti disponibili ad esercitare il loro ministero nella nostra chiesa. Questo chiede alla nostra comunità non solo di accogliere, ma soprattutto di amare e valorizzare tutti questi sacerdoti. Infine la sinodalità ci impegna a costruire la città futura attraverso relazioni inclusive e costruttive in grado di creare una cultura alternativa. Siamo la chiesa non dell’utopia ma della profezia.
Esodalità. Poniamoci poi una seconda domanda. Cosa ci è richiesto per essere chiesa esodale? Abitualmente la parola missione evoca in tutti noi l’impegno di “andare” per annunciare il vangelo a chi non lo conosce o non lo vive. Ma dice anche l’uscire oltre i perimetri abitualmente vissuti. La storia del popolo ebreo è significativa. Ci ricorda l’uscire dalla schiavitù egiziana per andare verso la libertà. Ancor più significativa è poi l’esperienza del Cristo il “quale pur essendo di natura divina…spogliò se stesso… divenendo simile agli uomini (Fil 2, 6-9). Dunque la vita cristiana è fondamentalmente esperienza di esodalità e cioè di uscita da sé per rivestirsi del Cristo, l’uomo nuovo. Tale esperienza tocca il credente su vari piani, da quello personale a quello ecclesiale. Per noi, Chiesa di Pesaro, fare l’esperienza dell’uscita comporta essere una Chiesa che sa ridare speranza soprattutto ad una umanità ferita, sofferente, disillusa, segnata dall’ingiustizia, colpita dalla povertà. Questa umanità è quanto di più concreto possiamo incontrare quotidianamente in famiglia, nel lavoro, nelle strade, nelle nostre comunità.
Cari fedeli, essere “Chiesa in uscita” comporta anche una conversione della prassi pastorale della comunità cristiana, che presuppone, non dimentichiamolo mai, una conversione spirituale A nessuno di noi sfugge l’urgenza di “uscire” da tanti schemi anche mentali non più adeguati, facendo scelte coraggiose. La nostra Chiesa, invocando lo Spirito, può e deve trovare una forza innovatrice sperimentando nuove forme di presenza. Occorre guardare al futuro già presente non attendendo ma anticipando, perché l’oggi è già il domani. S. Terenzio ci accompagni nel cammino di questo nuovo Anno pastorale. Sia lodato Gesù Cristo.
PIERO COCCIA (Arcivescovo di Pesaro – Estratto dell’omelia per la Festa del Patrono)