Vedere, in una serata di venerdì, una chiesa ampia come quella di Cristo Risorto piena di giovani – e di giovani disposti ad assumersi la responsabilità della formazione di bambini e ragazzi – è un fatto decisamente insolito. Eppure è accaduto, il 17 maggio scorso, in occasione dell’incontro dell’Arcivescovo Piero Coccia con gli educatori dei circa 25 Oratori della nostra Arcidiocesi che, sotto la guida di don Giuseppe Fabbrini e degli altri parroci, daranno inizio, dopo la chiusura delle scuole, alle attività estive.
Giovani. L’Arcivescovo, rispondendo alle domande che i giovani avevano preparato riflettendo sull’esortazione post-sinodale “Christus vivit”, ha incitato a bandire le lamentele e i toni pessimistici che in genere accompagnano le analisi sul mondo giovanile: il lamento, lo dice anche il Papa, è un inganno, perché rattrista il cuore e induce alla rassegnazione. Certo, dalle parole di quei giovani trapelavano le stesse paure e insicurezze dei loro coetanei, perché i problemi esistono ed il disagio nel nostro tempo è reale. Ma Gesù, ha assicurato l’Arcivescovo, si fa presente nelle croci degli uomini, offrendo un sollievo e un’amicizia di cui la Chiesa vuol essere strumento. La strada, dunque, è farlo salire sulla nostra barca e prendere il largo con Lui, uscire da se stessi, diventare costruttori del bene, protagonisti della carità e del servizio. Preoccupandosi di non perdere, oltre alla connessione a internet, quella con il Signore. Solo così i sogni, strutturalmente radicati nell’animo dei giovani, possono sbocciare e non essere chiusi nel cassetto. Per il cristiano, infatti, non esiste l’insanabile dualismo romantico tra ideale e reale: con Gesù, l’ideale si è calato nel reale e solo amando il reale si può incontrare l’ideale. Solo impegnandosi responsabilmente e faticosamente nel frammento si può incontrare il Tutto. Il cristiano perciò sogna, ma stando con i piedi ben piantati a terra.
Parola. Ancorati alla realtà, si può scoprire gradualmente anche la propria vocazione: tema che era inevitabile emergesse in un incontro di giovani, timorosi in genere di prendere decisioni definitive che permettano di costruire qualcosa di importante nella vita. La parola “vocazione”, ha detto l’arcivescovo rifacendosi anche alla sua storia personale, può essere intesa in una pluralità di significati: come vocazione alla vita, alla fede e all’amicizia con il Signore, al servizio degli altri attraverso il lavoro, il matrimonio o la vita consacrata. Occorre farsi accompagnare nel cammino di verifica, tenendo sempre deste le domande “chi sono” e “chi voglio essere”. È questo, in fondo, il microcosmo da cui dipende il macrocosmo della storia. Ma l’io prende coscienza dal rapporto con chi lo ha generato. Per questo la “parola” degli Oratori quest’anno sarà “Educati da Cristo vivo”.