Strano popolo gli americani; quando si incontrano si salutano “How do you do?” e l’altro senza accenno di risposta ripete la stessa frase. Sono pragmatici, sanno che i problemi di salute del prossimo non interessano. In Italia invece guai a chiedere come stai. Inizia una lunga catena di problemi, doloretti, operazioni, malattie incurabili che al termine si è costretti a fare ampi gesti di scongiuro. “Ho un dolore che parte da qui, si estende lungo il fianco e prosegue per la gamba fino all’alluce”. Verrebbe da dire che, a questo punto, la soppressione è l’unico rimedio. Si vengono a sapere tutti i particolari di un’operazione chirurgica che francamente ci fa anche un po’ senso. “Guarda, guarda che cicatrice mi ha lasciato” e si scoprono parti che dovrebbero essere visibili solo entro il vincolo matrimoniale. Viene messo in bella mostra un enorme cerotto che copre una buona porzione di pelle, la fasciatura è decorata da liquidi organici e tracce di sangue. “Scusa copriti che sto andando a casa a pranzo” e pensare che nel menù di oggi è prevista una tartare di manzo. Non credo che mangerò.
Dopo l’illustrazione del curriculum del chirurgo e l’abilità o gli errori dello stesso si passa a chiarire la situazione sentimentale di tutti i componenti del reparto. Viene da chiedersi: Ma se stai tanto male come fai ad interessarti di tutti i pettegolezzi ospedalieri? Si prosegue con l’elenco delle analisi effettuate, alcune delle quali conosciute solo dai luminari della scienza. Non c’è nulla da fare, l’unica soluzione è evitare di chiedere come stai. Tanto lo dice ugualmente. Suggerisco una soluzione; quando incontrate un amico ipocondriaco affrontatelo dicendo:”Ti trovo bene, hai un bel colorito” Questo non vi esime dall’ascoltare il solito elenco di dolori, ma almeno lo mettete in difficoltà.