L’antica fornace per la produzione di laterizi ha fornito per molti decenni lavoro a centinaia di famiglie urbinati ed ha fornito materiale per la costruzione di case, ponti e gallerie.
Dopo cinquant’anni dalla chiusura, decenni di abbandono, passaggi di proprietà, fallimenti di banche e tetti crollati, forse finalmente potrà aprirsi un nuovo capitolo per la antica fornace di laterizi Volponi, alle porte della città. L’amministrazione comunale ha infatti dichiarato che intende tentare la strada dell’acquisto diretto per il complesso che comprende circa 77mila metri quadrati di superficie, tra terreno e aree edificate che andranno quasi tutte demolite per essere un domani ricostruite.
Vendita. La fornace dallo scorso autunno era improvvisamente apparsa in un annuncio online su un noto sito di vendite immobiliari, e il prezzo era fissato alla notevole cifra di due milioni e quattrocentomila euro. All’epoca, il sindaco dichiarò che era un prezzo improponibile, anche se aveva detto che sarebbe stato giusto un acquisto da parte di un ente pubblico cittadino. È di qualche giorno fa invece la notizia che il comune, trattando in privato direttamente con una diramazione della Banca d’Italia che cura beni di proprietà di istituti falliti, avrebbe strappato un nuovo prezzo, drasticamente più basso ma aderente alle possibilità del municipio: duecentomila euro. Nell’attesa che la trattativa vada in porto, è bene ricordare le vicende della fabbrica urbinate.
Storia. La fornace Volponi affonda le origini nell’Ottocento. Un documento d’archivio del 1872 testimonia che i Volponi già gestivano una ditta di produzione di laterizi, che però non si trovava ai piedi di Urbino. Al finire del secolo, quando le Ferrovie dello Stato costruiscono da zero vicino alla città una fornace per cuocere i mattoni che servivano per ponti e gallerie, i fratelli Volponi decidono di acquistare la fornace delle ferrovie una volta dismessa. Daranno vita a quella che sarà per vari decenni la più importante industria della città. La fornace si modernizzò gradualmente, ingrandendosi e dotandosi di macchinari e tecnologie man mano migliori. Tuttavia, uno dei suoi prodotti più richiesti erano i mattoni fatti a mano, molto gettonati per i restauri di edifici antichi. Si può ben dire che mezza Urbino, quella del Novecento, sia stata costruita con mattoni, tegole, forati e coppi Volponi. Giancarlo De Carlo volle i suoi prodotti anche per i collegi.
Lavoro. Il fuoco del forno si accendeva a marzo, con la benedizione dell’arcivescovo in persona, e si spegneva ai primi di dicembre. Centinaia le famiglie a cui la fornace ha dato da vivere in circa un secolo di storia, interrotta nel 1974 dopo la prematura scomparsa dell’ultimo direttore Alfio Volponi; i soci rimanenti, per un connubio di crisi edilizia, concorrenza delle grandi fornaci e mancanza di figure interne in grado di guidare la fornace attraverso nuovi investimenti e le sfide della modernità, decidono all’unanimità di cessare l’attività e vendere fornace e terreno. Fino ad oggi, quando si è riaccesa la speranza di far rivivere quei mattoni.