Vuoto di valori, edonismo, immigrazioni di massa, cambiamenti climatici, stanchezza culturale e sincretismo religioso, scetticismo, una società in crisi incapace di ripensarsi e ricrearsi: questo era l’impero romano al tempo di S. Agostino, a cavallo tra IV e V secolo. Non molto diverso dal nostro Occidente, insomma. Solo che allora le migrazioni seguivano la direzione opposta, da nord a sud, e i popoli barbari calarono su Roma e arrivarono fino all’Africa settentrionale. Agostino morì il 28 agosto 430 mentre la sua città, Ippona, era assediata dai Vandali. Nei suoi quarant’anni di ministero era riuscito insieme ai fratelli vescovi a rendere rigogliosa la chiesa nordafricana, da una parte combattendo eresie e divisioni, dall’altra dando vita a monasteri fiorenti in cui si formarono validi pastori. Le invasioni barbariche prima e quelle arabe poi spazzarono via i frutti di quella primavera cristiana.
Tuttavia, se i venti della storia abbattono grandi alberi, è altrettanto vero che ne spargono i semi anche molto lontano nello spazio e nel tempo. Le opere di Agostino divennero solide fondamenta del pensiero e della teologia occidentale; la sua Regola monastica, più snella ed essenziale di quella benedettina, fu adottata da diverse famiglie religiose, alcune delle quali nel XIII secolo per volere della S. Sede diedero vita all’Ordine Eremitano di S. Agostino (oggi semplicemente Ordine di S. Agostino). Persino la sua salma ebbe un ruolo storico, allorché il sovrano longobardo Liutprando – 1300 anni fa esatti – la fece trasportare a Pavia, non solo per salvarla dai Saraceni, ma anche per corroborare l’unità del suo regno sotto il segno della fede cattolica. Sono quasi sedici i secoli che ci separano dalla morte di s. Agostino, eppure la sua figura non è mai stata accantonata in qualche angolo buio della memoria o della storia.
Giuseppe Rombaldoni OSA, durante il triduo in preparazione alla festa, lo ha tratteggiato in maniera semplice ed efficace, suscitando l’interesse dei presenti. Il giorno della festa – 28 agosto – don Marco Di Giorgio durante l’omelia ha detto che l’Ipponate è per noi un padre, che ci invita a essere intellettualmente vivaci, a vivere l’unità nelle nostre comunità, a tenere acceso il fuoco del desiderio di Dio che ogni uomo si porta dentro. Agostino, meglio di qualsiasi psicologo, sa intercettare e portare alla luce l’anelito d’infinito in chi si accosta a lui. Questo il segreto del suo fascino sempre attuale.