Quest’anno ricorre il 20° anniversario del ritorno alla Casa del Padre di don Gino Palazzi (27-7-2003) per 50 anni parroco a santo Stefano di Gaifa di Canavaccio, dove si è distinto per fede, carità, amore verso i più deboli, i malati, i bisognosi, raggiungendo una fama che andava molto al di là dell’ambito parrocchiale e tuttora dura.
Erano i primi anni 80 ed era inverno. Abitavo con la mia famiglia in località “Le Conce” accanto a quella che oggi è la rotatoria che scendendo da Urbino nei pressi della vecchia stazione ferroviaria permette ai veicoli di accedere alla bretella che a quei tempi era un sogno nel cassetto. Ero sposato da qualche anno e quel giorno era caduta tanta neve. Il traffico era bloccato da qualche camion creando lunghe code di automezzi. Noi ormai sapevamo che con la neve succedevano questi inconvenienti per cui ero solito recarmi al lavoro in Urbino a piedi.
Un incontro importante. Uno di quei giorni quando la neve era caduta di notte e le strade erano gelate scendevo verso casa quando vidi avanti me una piccola sagoma vestita di nero che spiccava in quel paesaggio tutto bianco. Ci misi poco a raggiungerlo e a riconoscerlo. Era don Gino Palazzi, sì! Proprio lui! Lo avevo conosciuto anni prima durante un pellegrinaggio al santuario di San Vittorino nei pressi di Roma: piccoletto di statura, aveva gli occhietti furbi che sprizzavano allegria e ti rasserenavano. Era proprio quel prete che in quel pellegrinaggio ci aveva raccontato tante storie di battaglie che aveva tenuto e vinto col demonio durante i tanti esorcismi che aveva fatto quando era esorcista della nostra arcidiocesi: racconti, alcuni dei quali facevano accapponare la pelle. Mi tornarono in mente quelle storie e con esse anche qualche dubbio che siano state tutte vere, dubbi che furono fugati decenni dopo dal racconto di persone che erano state dirette testimoni dei fatti. Così scendendo a piedi, nei pressi della fornace Volponi lo chiamai: “Don Gino!” Egli si voltò subito e mi riconobbe e ci mettemmo a chiacchierare per tutto il percorso. Scoprii in quelle poche centinaia di metri un uomo che viveva con gioia il suo sacerdozio, un uomo carico di entusiasmo nel servire il Signore nonostante l’età. Era pieno di vigore e non era per nulla preoccupato per il lungo tragitto che gli restava per raggiungere la sua parrocchia: Santo Stefano di Gaifa.
Ardore, amore, devozione. Non ricordo le cose che ci siamo detti ma nel dialogo ho compreso il suo ardore nell’essere sacerdote, il suo amore per la Chiesa, la sua vicinanza agli ultimi, la grande devozione nei riguardi di Maria la mamma di Gesù. Un sacerdote di quelli che oggi papa Francesco descriverebbe come un piccolo pastore di campagna che ha le mani e gli abiti che odorano di pecore riferito al gregge che il Signore gli ha affidato, un sacerdote che accoglie le persone con un sorriso paterno che dialoga piacevolmente con tutti e che approfitta di qualsiasi situazione e di qualsiasi incontro per donare quello stupendo messaggio che è il vangelo. Abbiamo percorso insieme poche centinaia di metri ma in quel tratto di strada avevo quel giorno incontrato un padre, un amico, un fratello, certamente un compagno di viaggio nel nostro cammino di Chiesa verso la Gerusalemme celeste tutto in un paesaggio incantato a causa di una nevicata che per quell’incontro è diventata speciale.