Il 14 luglio, nel tempio francescano, si è inaugurata la mostra temporanea del Crocifisso di Pino Mascia, docente di scultura all’Accademia di Belle Arti di Urbino, alla presenza del vicesindaco Massimo Guidi ed alcuni suoi colleghi. L’artista, invitato dai Frati Minori Conventuali, è entrato in punta di piedi, con un’opera intelligente che fa dell’umiltà la propria estetica, in un luogo che, tra gli altri, conserva il corpo di Giovanni Santi, pittore illustre e padre di Raffaello, e quello dell’altro grande artista urbinate, Federico Barocci. Artista presente anche all’estero e autore di opere pubbliche sparse per l’Italia, Pino Mascia in questo lavoro non scolpisce il corpo del Cristo, ma lo riprende con un calco da uno dei modelli più comuni. Non solo. Riprodotto in semplice terracotta, lo ricopre di tatuaggi che riproducono simboli cristiani. Come egli stesso ha avuto modo di spiegare – sebbene assente
all’inaugurazione per motivi sanitari – quella del tatuaggio è una tradizione cristiana antica che, in luoghi e tempi diversi, ha trovato spazio nella fede popolare, anche tra i contadini delle campagne marchigiane, i cui modelli sono conservati in una collezione presso il santuario di Loreto. L’idea del tatuaggio, cristallizzata nel suo Crocifisso, tuttavia trova motivo nel proprio vissuto di dolore. Grazie al suo personale coinvolgimento, ciò che poteva rimanere chiuso dentro un concettualismo allusivo dei tanti corpi tatuati dell’oggi, Mascia ci consegna il suo Crocifisso, purificato da ogni intento che non sia quello di proporre un dialogo da chi soffre a chi soffre e che egli stesso ha spiegato nei fatti che lo hanno prodotto: «All’alba di un anno e mezzo fa, mio fratello Stefano a 49 anni muore improvvisamente d’infarto lasciando una compagna, le tre figlie e i suoi affetti. Era un musicista hardcore che ha avuto una storia importante di musica e di amicizia lunga 30 anni che non parla del singolo ma di una comunità, la Crew, una generazione che usa il corpo tatuato come mezzo di comunicazione. Nel funerale svoltosi a Roma vicino alla sua abitazione, centinaia di suoi amici hanno affollato in pieno lookdown l’interno e l’esterno della chiesa. L’affetto, la sensibilità, il rispetto, la compostezza di questi ragazzi arrivati da ogni luogo per dare un ultimo commosso saluto, mi hanno confermato che nulla è come appare, ed è questa la ragione scatenante di questo lavoro, così è nata l’idea di studiare queste icone e il progetto di una crocefissione per una chiesa di Roma». L’opera sarà esposta fino al 31 agosto.
Di P. Francesco M. Acquabona