Fano
a cura di don Francesco Pierpaoli
Vicario Pastorale
Durante la celebrazione del Triduo pasquale, la prima sera durante la celebrazione della Messa nella “Cena del Signore” la prima lettura, tratta dall’esodo, parlava di un rito memoriale da trasmettere di generazione in generazione. Quella memoria non è stata annullata dalle parole di Gesù ma il suo “fate questo in memoria di me” l’ha solo compiuta.
Resta a noi la responsabilità di quel “di generazione in generazione”, come rito perenne!
Generazione. Sento veramente che questa è la grande sfida che ci riguarda. La nostra generazione come può essere fedele a questo comando?
Sono certo che tutto questo non riguarda solo l’Eucaristia o più generalmente questioni di fede, ma anche la società civile, il mondo dell’economia, il rapporto con il creato, l’impegno politico, la convivenza pacifica, occorre che risponda a questa responsabilità.
Guai a quelle persone che risolvono il problema con il dire semplicemente che il vecchio è la Chiesa, le religioni … sono questi i veri oscurantisti, conservatori di un mondo guidato dalla voglia di potere e dalla potenza del denaro.
Campanelli d’allarme ne abbiamo. Ma l’unico modo di raccontare è quello di apostrofare i giovani in un modo che nemmeno “Il libro cuore”, o “I ragazza della via Pal”, che hanno segnato la mia adolescenza, sopporterebbe.
Non esistono ragazzacci, giovinastri tatuati (altri sinonimi li trovate sui giornali che comprate ogni mattina), non esiste il “problema giovanile”, unico linguaggio dei politici (per farci credere che si interessano dei giovani hanno inventato l’Assessorato alle Politiche giovanili): esistono persone che hanno dentro di loro il desiderio di vita. Certo se facciamo terra bruciata intorno a loro, se noi adulti non siamo più capaci di dialogare, di incontrarli (non è mai stato facile) di concedere loro fiducia (senza togliergliela al primo passo falso perché non se la meritano), di credere nei loro progetti (che gioco fanno le banche?), cosa vuol dire passare la memoria “di generazione in generazione”?
“Si cambia” dovrebbe essere il ritornello non solo dei giovani ma di tutta l’umanità che ha voglia e desiderio di futuro. Il nuovo, per buona pace dei reazionari, non può andare contro la verità, la bellezza. Il nuovo non può far paura.
Giovani. Dobbiamo cambiare il vestito. Non accontentiamoci di mettere qualche toppa per far contenti i ragazzi, per strumentalizzarli in qualche partito politico che poi li scarica alla prima difficoltà.
Per far spazio ai giovani occorre rivedere tutto il nostro modo di lavorare, di educare, di costruire le città, di fare sport, di riempire le giornate. La paura di mettere al mondo figli non è solo un problema dei giovani ma di una società e lasciatemi dire anche di una Chiesa, che preferisce mantenere il benessere di chi è in vita piuttosto che preparare il futuro avviando processi. Siamo disposti a perdere i nostri privilegi? Siamo pronti noi adulti a toglierci dalle poltrone che occupiamo sentendoci insostituibili?
Questo è l’unico modo per guardar avanti: riapriamo il dialogo generazionale.
I giovani non sono certamente i più numerosi e vince le elezioni chi si occupa dell’età pensionabile e non certamente di come sarà il mondo fra quarant’anni … forse, per tornare a sognare, dovremmo cominciare a dire che un voto di un vent’enne vale tre volte quello di un sessantenne.