“La conoscenza di sé” è stato il filo conduttore della meditazione del Vescovo Armando nel terzo Quaresimale.
Interiorità. “Uno degli elementi più distintivi della spiritualità cristiana – ha messo in evidenza il Vescovo – è sempre stata l’attenzione alla dimensione dell’interiorità: la santità non consiste in un insieme di prestazioni, fossero pure buone, sante o eroiche, ma si colloca sul piano dell’essere e tende alla conformazione a Cristo dell’intera persona. Questo significa che la sequela di Cristo esige che l’umano non venga mai disgiunto dallo spirituale e che al movimento di conoscenza del Signore si accompagni sempre il parallelo movimento della conoscenza di sé”.
Conoscenza di sé. Il Vescovo ha sottolineato come senza vita interiore, senza sforzo di conoscenza di sé, non sarà possibile una vita spirituale cristiana e neppure la preghiera. “E’ veramente libero chi conosce se stesso, perché questi può nutrire un rapporto equilibrato con la realtà e con gli altri e scoprire motivi di speranza e di fiducia nel futuro”.
Interrogativi. Il Vescovo si è soffermato, poi, su alcuni interrogativi che riguardano da sempre ognuno di noi. “Si tratta della chiamata a compiere un esodo verso l’interiorità, un viaggio all’interno di se stessi, viaggio che si svolge ponendosi domande, interrogando se stessi: Chi sono? Da dove vengo? Dove vado? Che senso ha ciò che faccio? Chi sono gli altri per me? riflettendo, pensando, elaborando interiormente ciò che si vive di fuori. Solo così, attraverso l’interiorizzazione si diviene soggetti della propria vita e non ci si lascia vivere. Certo questo cammino nella propria interiorità, questa discesa nel proprio cuore sono molto faticosi e dolorosi: normalmente noi li respingiamo, ne abbiamo paura, perché temiamo ciò che di noi può esserci svelato. Nietzsche ha parlato del grande dolore di cui fa uso la verità quando vuole svelarsi all’uomo. La conoscenza di sé – ha evidenziato il Vescovo – esige attenzione e vigilanza interiore, quella capacità di concentrazione e di ascolto del silenzio che aiuta l’uomo a ritrovare l’essenziale grazie anche alla solitudine. Allora si perviene ad habitare secum, ad abitare la propria vita interiore, e si consente alla propria verità interiore di dispiegarsi in noi: è allora che la conoscenza di noi stessi diviene anche conoscenza dei limiti, delle negatività, delle lacune che fanno parte di noi e che normalmente tendiamo a rimuovere pur di non doverli riconoscere. La conoscenza della propria miseria, accompagnata dalla conoscenza di Dio, può allora divenire esperienza della grazia, della misericordia, del perdono, dell’amore di Dio. Ciò che prima si conosceva per sentito dire ora diviene esperienza personale. Si tratta mai di scindere questi due momenti dell’itinerario spirituale: la conoscenza di sé e la conoscenza di Dio. Infatti la conoscenza di sé – ha concluso il Vescovo riprendendo le parole di Enzo Bianchi nel libro Le parole della spiritualità, Rizzoli, Milano 2004 – senza la conoscenza di Dio ingenera la disperazione, e la conoscenza di Dio senza la conoscenza di sé produce la presunzione”.