Papa Francesco, nel suo pellegrinaggio in Terra Santa nel 2014, ha sottolineato: “La diversità di persone e di pensiero non deve provocare rifiuto e ostacoli, perché la varietà è sempre arricchimento”. Che percezione avete avuto di quanto detto dal Papa? E’ possibile un processo di pace vero e proprio?
Per sciogliere i nodi del conflitto israelo-palestinese occorre risolvere le tensioni di natura economica, sociale e politica e puntare su quelle comunità che rappresentano delle vere e proprie palestre di convivenza pacifica al di là delle diversità religiose. C’è anche una cultura, frutto della storia di persecuzione degli ebrei, che ha generato uno stato permanete di allerta e una sorta di ossessione collettiva. L’identità ebraica non può essere ridotta a una questione di confini.
Occorre disinnescare le bombe della diversità, perché queste costituiscono il terreno su cui il fanatismo può attecchire e crescere. E in questo contesto i cristiani giocano un ruolo fondamentale nel mostrare che si può coesistere nonostante le diversità religiose-culturali. Bisogna difendere le comunità che vivono in coesistenza pacifica. Ma bisogna difenderle davvero: attraverso i pellegrinaggi, le visite, i gemellaggi tra le parrocchie, attraverso un lavoro di fondo tra i fedeli delle comunità.
Cosa significa abitare, da cristiani, quei territori? Sentirsi “uomini e donne di frontiera” o “di periferia”?
Rispondo con un versetto del profeta Michea 6,8: “camminare umilmente con il tuo Dio”.
Camminare, avanzare e guardare avanti. Questo percorso è anche una crescita nella fratellanza che esige grande umiltà. L’umiltà è necessaria, non solo per favorire e costruire un vero dialogo, ma anche per lavorare instancabilmente per costruire la fiducia.
In questi tempi oscuri della “guerra mondiale a piccoli pezzi” necessita una “pace a piccoli pezzi” che avanza senza fare clamore.
Occorre lavorare umilmente nel quotidiano, attraverso piccoli gesti di pace, di fratellanza, di umiltà e di riconciliazione che sono il seme essenziale per costruire una pace vera e duratura alla quale non dobbiamo smettere di credere ed aspirare.
Quando si parte per un pellegrinaggio, lo zaino non è solo pieno di cose necessarie per il viaggio, ma anche di tante aspettative e domande: quali sono state le domande di senso che ha letto negli occhi e nel cuore dei giovani?
Un viaggio che porta ad andare in profondità. In profondità del Grazie, delle radici della terra, della lettura della Bibbia, della condivisione, della natura. In sintesi questo viaggio è uno scavarsi profondamente dentro e fuori la propria vita.
E poi tanta meraviglia e tante emozioni, momenti intensi che lasciano uscire lacrime spontanee e liberatorie. Il sogno: partire con molte domande e tornare con alcune risposte, trovate grazie alla parola meditata, alla parola dei compagni di viaggi e il privilegio di fare dei passi nei luoghi cari a Gesù e sentirlo amico e avere la voglia di dirgli e dire sì! Ti voglio bene, stammi vicino.
Alcuni giovani, al ritorno dalla Terra Santa, hanno dichiarato che si sono sentiti trasformati e rigenerati.
Il pellegrinaggio in Terra santa è l’ossigeno che ridà vita alla fiamma che talora sta per spegnersi.
Oserei dire: spalancate le porte del cuore alla Terra Santa. Accogliete le sue luci e le sue ombre. Riscoprirete la stessa danza degli opposti che abita nell’anima di ogni uomo senza paura, perché se non ci fossero le tenebre, forse il sole non sembrerebbe tanto bello.