Una riflessione sull’attuale situazione della Chiesa in Italia era opportuna all’inizio di questo nuovo anno pastorale 2019-2020, per questo i vescovi, presbiteri, diaconi e religiosi delle tre diocesi di metropolia (Pesaro, Urbino e Fano) si sono ritrovati insieme lo scorso 3 ottobre a Villa Borromeo. In un clima fraterno, alla presenza di circa un centinaio di convenuti nonostante le condizioni meteo avverse, il “padrone di casa” monsignor Piero Coccia ha introdotto i lavori salutando i presenti e ricordando alcuni appuntamenti in agenda. L’analisi di carattere teologico–pastorale dal titolo “Il cammino della Chiesa in Italia”, è stata affidata a monsignor Erio Castellucci, Arcivescovo di Modena–Nonantola, nonché docente di teologia dogmatica conosciuto in zona per aver insegnato all’Istituto di Scienze religiose di Pesaro fino a qualche anno fa.
Minoranza. «Ci sono vari punti di vista per analizzare la situazione generale della Chiesa» ha esordito monsignor Castellucci, «c’è chi è nostalgico e vive con il ricordo del tempo andato e chi invece è entusiasta per una nuova stagione, una primavera ecclesiale, ma non è l’uno o l’altro aspetto che ci fa dire se stiamo perdendo o meno terreno. Nel tempo la Chiesa ha alternato fasi in cui era più o meno ‘secolarizzata’, ma non per questo possiamo dire che la Chiesa delle origini fosse meno attiva di quella medievale, o viceversa. Ci sono vari fattori da comprendere: i sociologi e gli psicologi fanno un’analisi ‘esterna’ che è diversa dai nostri criteri ‘interni’, cioè quelli pastorali per esempio: nessuno di essi può essere assolutizzato».
Secondo il relatore, «vanno utilizzati i criteri evangelici perché sono quelli che vanno più in profondità: il sale (della terra), la luce (del mondo), le parabole del lievito e del seme, sono immagini che valorizzano altro da sé, rispetto alla quantità, ai numeri. Troppo o poco sale nella minestra fanno la differenza, così come troppa luce rischia di abbagliarmi o poca non mi permette di vedere. Gesù non ha detto ‘voi siete l’esercito della salvezza!’». Essere “segno e strumento” (vedi documento Lumen Gentium) per la Chiesa è dire questo decentramento da sé, attirare non su di sé ma su altro: Gesù Cristo.
Citando un’espressione di papa Benedetto XVI, possiamo dire che la Chiesa, anche in Italia, sarà chiamata ad essere una “minoranza creativa”: consapevole certo di non essere più una parte preponderante della società, ma ‘creativa’, cioè che si lascia guidare dallo Spirito Santo (Colui che è creatore) e si mette in ascolto del Vangelo per comunicarlo senza appesantirne i contenuti. Fare del Vangelo qualcosa non di dottrinale, ma di esperienziale!
Santità. Di particolare interesse la chiave di lettura che ci ha donato monsignor Castellucci in merito all’esperienza della Chiesa come Comunione e Missione (sinodalità ed esodalità). Infatti, se è vero che la Chiesa italiana negli ultimi decenni si è interrogata molto su entrambi gli aspetti (vedi le linee guida CEI dagli anni 70 in poi), c’è stata forse una maggiore attenzione sull’esperienza della comunione prima e della missione poi, quasi che la seconda fosse la conseguenza della prima. «In realtà è errato questo nostro modo di pensare perché», sottolinea monsignor Castellucci con una battuta, «se dovessimo essere missionari solo quando siamo in perfetta comunione, occorrerebbe aspettare la venuta del Figlio dell’Uomo!». È l’urgenza dell’annuncio che ci fa recuperare anche la dimensione ‘comunionale’.
Al di là dei risultati sui quali siamo preoccupati troppo, ciò che incide davvero è la santità dei cristiani. Questa è la profondità che ci deve affascinare: accorgersi di quanti “santi della porta accanto” ci sono nei luoghi in cui viviamo, anche in quelli più ‘lontani’ dalla parrocchia. Questo è un buon antidepressivo per la nostra pastorale ordinaria, altrimenti noi ci contiamo, ma la profondità non si quantifica.
DON VALERIO RASTELLETTI