“San Paterniano è stato un maestro che ha annunciato, testimoniato la Parola di Dio al popolo, un pastore che ha guidato, con l’esempio, i fedeli sulle vie della santità”.
Queste le parole del cardinale Giuseppe Petrocchi, arcivescovo metropolita de L’Aquila, nell’omelia, mercoledì 10 luglio, nella Basilica di San Paterniano in occasione della festa del Patrono, protettore della città di Fano e della Diocesi, a cui la Basilica è dedicata.
Il saluto del Vescovo. A introdurre la celebrazione eucaristica il saluto del Vescovo Armando. “San Paterniano ci aiuta a non dare mai per scontata l’esperienza religiosa. Oggi vediamo il nostro Santo Patrono come un incoraggiamento a ripartire, ripartire dall’essenziale con umiltà, con pazienza e forse qualche volta anche con le lacrime. L’augurio per noi tutti è che questi santi ci aiutino non solo a venerarli, ma anche a capire nell’oggi che cosa ci chiedono, in particolare come possiamo evangelizzare”.
Santità. “La santità – ha sottolineato il cardinale – non conosce l’usura del tempo perché è segnata dalla presenza dello Spirito. Ecco perché i santi sono nostri contemporanei. Possiamo accostarci a loro, anche se da un punto di vista storico ci dividono secoli, sapendo che sono nostri compagni di viaggio, che hanno molto da dire e da dare oggi”.
Letture bibliche. Il cardinale Petrocchi ha poi ripercorso alcuni passaggi delle letture bibliche proclamate. “La Parola di Dio non solo parla a noi, ma parla di noi. Per questo dobbiamo riconoscerci nelle cose che ci vengono comunicate e chiederci: come poterle attuare? Perché la Parola ci dona pienezza e ci aiuta a diventare noi stessi, cioè conformi al progetto che Dio ha su di noi. I tre brani biblici gravitano su una frase forte che Gesù rivolge nel Vangelo: questo è il mio comandamento, che vi amiate gli uni gli altri come io vi ho amato. Possiamo amarci scambievolmente come Gesù ci ha amato, perché l’amore che lega il Padre e il Figlio è acceso nel nostro cuore. L’esperienza cristiana, quindi, nella sua origine, non sta nel fatto di essere chiamati ad amare, ma nella disponibilità a lasciarsi amare. Nel nostro incontro con il Signore la prima disponibilità è quella di spalancare il cuore e lasciare che Lui trapianti il suo amore in noi. E’ con questo amore che riceviamo, che possiamo rivolgerci agli altri e voler bene, un bene autentico. Gesù ci dice: rimanete nel mio amore. Chi rimane nel Suo amore impara ogni giorno di più a far spazio in sé alla Parola di Dio. Molti pensano che l’amore se è amore espelle da sé ogni forma di dolore per cui la sofferenza è incompatibile con l’amore. Non è così perché l’amore, se è vero, comporta un oltrepassare se stesso, decentrarsi, varcare il confine della propria quotidianità, comporta dare la precedenza all’altro. Dare la vita per chi ci sta accanto significa imitare quell’amore di Gesù che sa servire, che sa mettersi all’ultimo posto.
Consolazione. Un altro termine chiave dell’esperienza evangelica sottolineato dal cardinale è stato la consolazione, ovvero la capacità di trovarsi in mezzo ai problemi senza perdere la pace. “Se abbiamo una profondità di fede, di speranza, possiamo avere una tempesta accanto ma nel cuore mantenere la pace. E’ l’arte di vivere positivamente le difficoltà”.
Gioia. ‘Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena’. La gioia di Gesù non è intermittente, non dipende dagli andamenti mutevoli delle vicende, è una gioia che ci abita sempre, che ci rende capaci di testimoniare che Dio rende qualunque vicenda un’opportunità di crescita anche quando ciò che ci capita ci ferisce. “San Paterniano – ha concluso il cardinale – possa gioire vedendo la comunità di Fano raccolta attorno al suo Vescovo con un presbiterio che attesta una comunione attenta e profonda”.