“I valori che Primo Levi ha vissuto e trasmesso, specialmente la necessità di non dimenticare ciò che è avvenuto negli anni della seconda guerra mondiale come tragica conseguenza del disprezzo dei diritti di ogni persona, costituiscono la base fondamentale per una società pacificata e una rispettosa convivenza sociale”. Sono le parole del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. “Figura complessa di uomo e scrittore, sopravvissuto ad Auschwitz, la forza della sua lezione – osserva il Capo dello Stato – ha superato i confini nazionali per diventare il simbolo di una sofferenza universale”. “Ebreo e partigiano, internato nel campo di concentramento di Carpi-Fossoli nel 1944, deportato ad Auschwitz e liberato nel 1945, Levi ha saputo indagare, per la sua esperienza di vita e insieme per la sua capacità di esplorazione, gli abissi della natura del male”, prosegue Mattarella.
“Consapevole del significato storico e antropologico della tragica esperienza nei campi di concentramento, Primo Levi, nella sua intensa attività di testimonianza umana e culturale, ha proposto alla coscienza comune ideali di comprensione e di tolleranza fra gli uomini e i popoli”.
Primo Levi si è più volte chiesto: perché la memoria del male non riesce a cambiare l’umanità? A che serve la memoria? Cioè, ricordare si deve… ma si può? Ne siamo davvero capaci? Siamo davvero in grado di imparare dalla storia? Le domande di Levi sono anche nostre, dinanzi al persistere e al riacutizzarsi dei tentativi di negare all’altro la dignità di persona: tentativi di trasformare l’altro in un oggetto, che può essere maneggiato o distrutto a piacimento. Prendere sul serio le parole sofferte di Primo Levi ci aiuterebbe oggi a guardare diversamente il nostro modo di starci accanto e di vivere le nostre relazioni, lunghe o corte che siano. Forse ci potrebbe aiutare a leggere in modo diverso anche il fenomeno delle migrazioni.
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