Eccellenza, come mai questa sua decisione di andare in Romania?
Ho voluto rispondere all’invito rivoltomi dal mio confratello mons. Petru, Vescovo della diocesi di Iasi, con il quale ormai da anni è nato un rapporto di amicizia e cooperazione molto costruttivo, culminato nel dono generoso di quattro suoi sacerdoti alla nostra chiesa locale. Un dono che è stato occasione di crescita comune nella fede, nella comunione ecclesiale, nel dialogo culturale. Ritornando dopo un anno in quella diocesi ricca di un clero giovane e numericamente rilevante, ho potuto rinnovare tutta la mia gratitudine al suo pastore, con l’auspicio che questo rapporto possa continuare ancora a lungo con la medesima intensità.
Quale significato ha colto nella visita del Papa?
La visita è stata soprattutto un invito alla popolazione a camminare insieme. Un invito che il Papa ha rivolto innanzitutto alle forze politiche, economiche e sociali, affinché non rinuncino al nobile e complesso compito di farsi carico del bene del popolo rumeno, composto da una miscela di etnie e culture diverse. Ma in particolare lo ha indirizzato agli ortodossi e ai cattolici, che costituiscono rispettivamente (senza considerare altre religioni) l’87% e il 7% degli abitanti: nel suo discorso al Sinodo permanente li ha esortati a camminare insieme, facendo memoria non dei torti subiti o inferti, ma delle sane e salde radici comuni. Del resto un segnale di maggiore distensione è venuto anche dal permesso concesso a Papa Francesco di fare tappa nella “cattolica” Transilvania: permesso che invece nel 1999 era stato negato, per vari motivi, a Giovanni Paolo II.
A quali celebrazioni ha partecipato?
A due celebrazioni: la Veglia di preghiera che si è svolta a Iasi con toccanti testimonianze di fede di giovani, bambini e famiglie e che ha visto la partecipazione di una folla enorme di fedeli, rimasti sotto la pioggia battente dalle 8 del mattino alle 17 del pomeriggio; la beatificazione, avvenuta il 2 giugno a Blaj, di 7 vescovi greco-cattolici martiri, i quali, durante la feroce oppressione del regime comunista, accettarono il carcere e ogni genere di maltrattamenti pur di non rinnegare l’appartenenza alla loro amata Chiesa: lasciando in questo modo al popolo rumeno una preziosa eredità di libertà e di perdono.
Che impressione ha avuto dell’attuale società rumena?
Quello rumeno è un popolo che ha sofferto tanto sotto il peso di un regime che opprimeva la libertà civile e religiosa e lo isolava dagli altri paesi europei. Ha conosciuto il dramma dell’emigrazione e dello spopolamento di tanti villaggi, con tutte le conseguenze materiali e spirituali che ne sono derivate. Ma è un popolo forte e combattivo, che si sta ricostituendo con grande dignità. Un popolo fondato su radici culturali cristiane, ma desideroso di proiettarsi verso il futuro. In particolare la Romania desidera il pieno riconoscimento della sua appartenenza all’Unione Europea, nella quale a buon diritto è entrata – presiede in questo semestre il Consiglio Europeo – essendosi impegnata nella costruzione di un processo democratico con ammirevole sforzo e con la volontà di progredire nei vari campi della vita civile.
E della Chiesa cattolica rumena di oggi?
La Chiesa cattolica, anch’essa segnata e temprata dalla sofferenza, è molto viva e coraggiosa. Sta investendo molto sui giovani e sulla famiglia e può fare leva su un clero fedele e solido, capace di stare vicino ai bisogni della gente. Desidera essere segno di armonia, speranza, unità con le altre Chiese e con tutti gli uomini e le donne di buona volontà, per camminare insieme e mettere i propri talenti al servizio della comunità. La Chiesa Cattolica è pienamente partecipe dello spirito nazionale e perciò desidera dare il suo contributo alla costruzione della vita civile e spirituale della bella terra di Romania.