Quella sera ero alla Lanterna Azzurra di Corinaldo tra tanti ragazzi delle scuole superiori, ma io ero lì con una finalità diversa da loro. Io ero li per accompagnare un ragazzo con delle disabilità, un ragazzo che con tutti gli altri condivideva la voglia di divertirsi in una normale serata in discoteca, assistendo all’esibizione di un cantante famoso. Ed entrando in discoteca quella sera ho incontrato tanti ragazzi che conosco, attraverso il servizio di educatore in parrocchia a Fano ed attraverso la mia attività di allenatore. Il mio primo pensiero, la mattina dell’8 dicembre, è andato a loro; ero nel letto d’ospedale nel quale son dovuto stare per 14 giorni, ed ero abbastanza incosciente della mia condizione fisica, della quale ancora non riuscivo a comprendere la gravità a causa della confusione di quei momenti, ma non riuscivo a togliermi dalla testa le facce di quei ragazzi. Quei ragazzi che nel tempo del ricovero non hanno mancato di sottolinearmi il loro affetto e la loro vicinanza, passando a trovarmi più e più volte e attraverso tantissimi messaggi. E nel vedermeli di fronte, spesso impassibili, senza saper cosa dire, ammutoliti dall’assurdità della situazione, a me venivano in mente di volta in volta le responsabilità che noi adulti impegnati nel mondo dell’educazione, ma non solo, abbiamo su di loro.
Abbiamo la responsabilità di aiutarli a crescere e metterli nella condizione di divertirsi nella maniera più sana possibile rispettando i desideri e le pulsioni della loro età. E allora: “Com’è possibile che si verifichino certe situazioni? Quali sono le finalità con cui si organizzano i divertimenti per ragazzi? Qualcuno pensa veramente a loro?”. Ma soprattutto mi chiedevo, “Io cosa posso fare?”. Ed essere un testimone narrante di ciò che è successo quella sera mi sembra il modo migliore per ricordare ai ragazzi di non essere indifferenti, di non lasciare passare tutto solo come un brutto ricordo. È una vicenda che va superata, ma non dimenticata. E’ una vicenda che deve alimentare nei ragazzi un sano senso di rabbia per l’ingiustizia successa, non per fare vendetta, ma per cambiare il mondo, a partire dal piccolo del loro quotidiano che ha grandi conseguenze, perché il quotidiano costituisce la totalità delle loro vite e di quelle dei loro amici. Chiudo dicendo che ultimamente ne sento tante, specialmente sui social, secondo cui i giovani di oggi non si sappiano più divertire e non si sappiano prendere le responsabilità. La sera della tragedia i ragazzi lo hanno fatto: si son presi le responsabilità di cui gli adulti si sono disinteressati, perché si sono letteralmente rimboccati le maniche per salvare delle vite in una situazione disumana, dimostrando una grande vitalità, stessa vitalità dimostrata dai ragazzi della Parrocchia dei Cappuccini, che attraverso un ascolto autentico della mia storia, seguito da tantissime curiosità e osservazioni profonde, mi hanno restituito tanto, testimoniando loro a me quanto per aiutare i ragazzi sia sufficiente viverli e star loro vicini senza giudicarli ma cercando per loro il bene.