Una volta, quando la vita era più semplice, c’erano tre tipi di pane: quello bianco dei signori, quello scuro dei contadini, e quello nero del cane, ottenuto spazzando il magazzino e raccogliendo i residui di farina, di grano, mais o ghianda. Fra i primi due non vi era una gran differenza di sapore, il terzo non l’ho assaggiato, ma Bobi o Fido lo gradivano. Oggi vi sono tanti tipi di pane, li elencherei volentieri ma il Direttore dice che non può mettermi tutto il giornale a disposizione. Mia moglie mi ha incaricato di andare a comprare un chilo di pane. “Mi raccomando quello di Terni che è più buono”. Ho chiesto alla commessa se venisse davvero da Terni. Mi ha guardato con amorevole sollecitudine, come si fa coi bambini in difficoltà e gli anziani svaniti: “Si chiama di Terni perché viene da Terni”. E qui la vita mi pone dei quesiti che non riesco a risolvere. Possibile che da Terni a Pesaro non vi sia un forno più vicino che faccia il pane buono? Adesso per fortuna prendiamo il pane di Carpegna. Altro quesito: possibile che fra Carpegna e Pantano non vi sia un forno decente più vicino?
Veniamo al prezzo. Quello comune da un chilo costa meno, ma nella Boutique vicino a casa se chiedete di tagliarlo a metà, per ragioni di spazio, ve lo fanno pagare due volte il filone da mezzo chilo, cioè di più. Se non ci credete, vi dirò a voce il nome del negozio che chiamo Boutique per via dei prezzi. Ed a questo proposito, ho visto con i miei occhi anziane casalinghe acquistare panini imbottiti per il figlio o il nipote, pagandoli cifre d’affezione come se si fosse in un bar di Piazza San Marco. Ma signora, è molto difficile acquistare due panini, un vasetto di tonno o due fette di prosciutto e confezionare i panini a casa? Spenderebbe molto meno. Ma sto zitto perché mi accusano sempre di farmi i fatti degli altri.