“Dalla nostra Diocesi di Fano Fossombrone Cagli Pergola siamo partiti io e Davide Carboni insieme ad altre due ragazze, una di Vicenza e una di Cosenza. Facevamo parte del Servizio Civile Nazionale all’Estero con la Comunità Papa Giovanni XXIII, ente che ci ha inviati”. Inizia così il racconto di Anna Lisa Landini, giovane delle nostra Diocesi che, dal 1 novembre 2016 al 31 agosto 2017, ha vissuto un’interessante esperienza nei Caschi Bianchi in Servizio Civile in Bolivia. Un’esperienza fatta di gioie, di relazioni, di nuovi incontri, ma anche di condivisione delle fatiche e di chi ogni giorno, tra mille difficoltà in primis la povertà estrema, cerca di sopravvivere. “Abbiamo vissuto – ha proseguito Anna Lisa – tre mesi tutti insieme in una comunità terapeutica, in Bolivia, per dipendenze, soprattutto dall’alcool.
Accoglienza. Dopo questo primo periodo mi sono trasferita in una casa famiglia che accoglie ragazzi che, terminato il programma terapeutico, cercano di reinserirsi nella società. La casa famiglia, inoltre, accoglie anche ragazze madri. Durante la settimana, Davide seguiva il lavoro nella comunità e da febbraio ha seguito, insieme ai ragazzi che facevano il percorso terapeutico, anche la produzione di pasta fresca per un ristorante italiano. Anche io una parte della settimana condividevo con Davide il lavoro di produzione della pasta, la restante aiutavo nel lavoro all’interno delle serre. Il mercoledì era il giorno dedicato all’unità di strada. Incontravamo le persone che, a La Paz, vivono in strada, soprattutto persone con dipendenze dall’alcool, donando loro un piatto di zuppa e offrendo un posto in comunità. Seguivamo anche le attività della gelateria GigiBontà, progetto che l’Associazione Papa Giovanni XXIII porta avanti in collaborazione con alcune imprese, dove avviene il reinserimento dei ragazzi. Abbiamo prestato servizio – prosegue Anna Lisa – anche in un asilo nido per bambini figli di mamme sole o di famiglie in gravi difficoltà economiche. Quando decidi di vivere questo tipo di esperienza, pensi sempre che devi aiutare, fare, dare. In realtà, è stato molto più quello che abbiamo condiviso e scambiato con le persone che abbiamo incontrato tutti i giorni, un aiuto reciproco nelle difficoltà quotidiane.
Sentirsi stranieri. Abbiamo fatto anche l’esperienza di sentirci stranieri, diversi, come forse si sentono straniere e diverse tutte quelle persone che stanno raggiungendo da molte parti del mondo il nostro Paese. Sentirci diversi, esclusi, all’inizio soprattutto. Tra le cose che facevamo c’era anche il servizio disabili. In quelle zone, i servizi sanitari non esistono e i disabili, se non hanno nessuno in grado di offrire loro aiuto, purtroppo vengono abbandonati a loro stessi. La fortuna di avere fatto questa esperienza insieme è grande – ha concluso Anna Lisa – abbiamo imparato a metterci in gioco un anno e a vivere la libertà di essere se stessi”.