Si chiamano “pazienti” perché devono avere pazienza; aspettare e tacere sono le caratteristiche dei frequentatori di ospedali, cliniche, ambulatori. Se nella stanza accanto stanno salvando una vita umana, tutti sono disponibili, ma quando arriva la bella signora, chiaramente ed ostentatamente amica della receptionist e viene fatta entrare istantaneamente mi ritrovo a rimpiangere il numeretto al banco del supermercato. Per non parlare poi delle cosiddette ‘manovre’ che i medici eseguono sul tuo corpo. “Adesso sentirà un leggero fastidio” Arriva un dolore lancinante, una specie di coltellata. “Si rilassi, non sia così teso”. Dice bene dottore ma mi aspetto di morire da un momento all’altro. “Sempre esagerato”.
I medici, in genere sono gentili ma le infermiere, che in tanti anni di professione si sono fatte crescere il pelo sullo stomaco, sono meno disponibili. “La smetta di fare il bambino, alla sua età poi …” Uno schiaffo morale tremendo. “Ora togliamo i cerotti”. Assieme ai cerotti se ne va anche qualche centimetro di pelle. “Visto, abbiamo terminato”. Il povero paziente giace svenuto. Io resisto a tutto meno che al dolore fisico, e non ditemi, ma che uomo sei! Intanto sono tempi di parità fra i sessi e poi sono molto sensibile al dolore, almeno al mio, quello degli altri lo sopporto meglio.
I tempi ospedalieri sono impossibili. La notte è difficile dormire ed il sonno arriva alle 5 del mattino, sveglia alle 6 per misurare la temperatura. Mi è scappato detto: “Mi sembra il servizio militare, svegliarsi all’alba per non fare nulla tutto il giorno”. L’infermiera con aria carognesca, rivolgendosi al mio compagno di stanza: “Adesso Capitano tocca a lei”. Mi sono coperto il volto col lenzuolo. Ma dico io, ti vuoi mettere i gradi sul pigiama!