Il fortunoso ritrovamento del frammento del Martirio di San Sebastiano di Federico Barocci risana l’antica armonia dell’opera e ripristina la memoria storica di chi ha commissionato, al maestro urbinate, il dipinto, tanto caro alla devozione popolare. Lo scienziato Benedetto Bonaventura nel 1557, affidando il lavoro al giovane pittore urbinate poco più che ventenne, voleva espletare gli obblighi testamentari del padre che aveva destinato 100 fiorini per innalzare a Dio e alla devozione del popolo urbinate, un’immagine del Santo guerriero, che non ebbe paura dell’Imperatore romano e testimoniò l’amore a Cristo sino al martirio. Il Barocci, realizzando un’opera così efficace nel dinamismo della composizione e dei corpi, nei colori, racconta l’episodio del martirio e, come era tradizione, pone ai margini dell’opera un ritratto riferibile alla committenza: il giovane figlio di Benedetto. Questo ritratto di bambino offre l’occasione per una riflessione ulteriore sulle intime ragioni devozionali che spinsero la famiglia Bonaventura a sovvenzionare la realizzazione della pala d’altare, secondo una prassi comune fra le famiglie ricche o facoltose di contribuire finanziariamente alle opere per il culto, all’edificazione di chiese o cappelle, alle pitture e sculture che decorano le chiese.
Spesso gli atti caritativi erano posti in calce delle eredità, costituendo condizioni necessariamente da espletare e senza le quali le famiglie non avrebbero potuto accedere al patrimonio. I potenti e i ricchi troppo distratti in vita, si riscattano ponendosi come protettori dei poveri, dei diseredati, degli orfani sostenendo, e dando vita con i loro ricchi patrimoni, a “ospitali”, scuole, istituti religiosi per le esposte, orfanotrofi. Queste donazioni, con l’andare del tempo, servivano anche a celebrare il potere e la magnificenza della famiglia regnante in una città, come testimoniano i nomi scolpiti su palazzi e chiese, le immagini dei committenti sui dipinti, i blasoni famigliari in piazze, fontane. Nei secoli aumenta, tra le famiglie abbienti, la consuetudine di erigere oratori privati e si arricchiscono le donazioni alla “memoria dell’anima dell’offerente”, come è accaduto per la nostra Cattedrale. L’offerente, peccatore, concepisce il riscatto dell’anima, dentro la formalità della donazione economica, cercando di ricucire il disordine del mal-fatto con il desiderio armonico del ben-fatto. Dinnanzi al giudizio eterno il peccatore sente in coscienza il desiderio di superare il brutto, attraverso il bello.
Il frammento del dipinto Martirio di S. Sebastiano, con la raffigurazione della committenza, racconta il perché l’opera è stata realizzata e costituisce la chiave per una lettura complessiva dell’intero sistema-altare. La pratica di commissionare opere d’arte all’interno di edifici sacri, l’erezione stessa di cappelle, chiese, santuari attraverso lasciti alla Chiesa, non può essere interpretata solamente come una cinica valutazione di ingannare Dio con il denaro, guadagnandosi la vita eterna, dopo una vita non conforme al Vangelo. Al contrario bisogna ripensare le devozioni della pietà e delle pratiche popolari senza preconcetti, contestualizzando il fenomeno e non rendendolo banale o giudicandolo fuori della sua reale esistenza, senza considerare che, per coloro che le hanno praticate, sono state il solo modo con cui hanno vissuto la fede. Ben tornato giovane fanciullo Bonaventura, ben tornata armonia del sacro!
Mons. Davide Tonti