Sono cinque i gruppi di lavoro che durante il prossimo Convegno diocesano dal titolo “Che cercate? Venite e vedrete” impegneranno la nostra Chiesa in un’attenta riflessione sul tema voluto da Papa Francesco per il Sinodo dei Vescovi del 2018: “I giovani, la fede e il discernimento vocazionale”. Dopo gli interventi dell’Arcivescovo Piero Coccia e di don Michele Falabretti (responsabile nazionale della Pastorale giovanile) programmati per giovedì 14 settembre, alle ore 21.15, presso l’Hotel Flaminio, i convegnisti – nella mattinata di sabato 16 – si interrogheranno su come accompagnare i giovani nella scoperta della propria vocazione, scegliendo uno dei cinque ambiti proposti: famiglia, vita consacrata, parrocchia, scuola, impegno sociale. Quale dovrà essere il metodo di lavoro, secondo le indicazioni anticipate dall’Arcivescovo?Certamente non quello, purtroppo abbastanza diffuso nel nostro tempo, di “fermarsi all’analisi della situazione” e di rilevarne solo gli aspetti negativi o problematici. Il quadro che ne deriverebbe sarebbe arcinoto e sconfortante: “Alla famiglia vengono preferite forme di unione più flessibili e meno impegnative; … le vocazioni al sacerdozio e alla vita consacrata scarseggiano; … le parrocchie lamentano una scarsa partecipazione dei giovani; … nella scuola rischiano di prevalere progetti di ordine tecnico in nome di una illusoria ‘neutralità’; … l’impegno nel sociale rischia di rimanere confinato a forme variegate di volontariato, pur generosissime e preziose”. (Introduzione all’Agenda pastorale 2018).
Il punto di partenza, invece, deve essere un altro. Siamo chiamati, prima di tutto, a domandarci ancora una volta: ma noi abbiamo ragioni adeguate per continuare a coltivare la speranza? La fede ci dà ragioni adeguate per metterci nuovamente in gioco e riprendere a lavorare? Siamo veramente convinti che il bene non può che dominare sul male? Solo una risposta sincera e affermativa a queste domande rende capaci di guardare le cose con maggiore realismo, di valorizzare il positivo che c’è, di incontrarsi per dialogare e cercare di costruire insieme.La realtà è variegata: la famiglia è in crisi, ma ci sono ancora famiglie unite, che generano figli, che rischiano sul futuro; così come ci sono ancora docenti che educano e studenti responsabili che trovano una loro direzione di vita; e non è vero che non ci siano giovani che si impegnano nelle parrocchie e in varie realtà ecclesiali. Bisogna cercare di individuare questo bene, scoprire che cosa fa la differenza e, come chiede l’Arcivescovo, fare “proposte realizzabili” per un lavoro comune, con un “linguaggio comprensibile ai giovani” e con “metodi innovativi”: avendo sempre, comunque, la semplicità di ricordare che i giovani cambiano, ma il cuore rimane lo stesso; ed è questo cuore che il Signore vuole raggiungere; e sceglie di farlo attraverso la nostra umanità, piena di limiti e imperfezioni. Accogliamo, dunque, l’esortazione dell’Arcivescovo a “scrollarci di dosso un pericoloso pessimismo che rischia di bloccare la nostra azione pastorale nei confronti dei giovani”.Un’esortazione che richiama a quella molto più sferzante di Papa Francesco, il quale nell’Evangelii gaudium (n. 83) mette in guardia dal rischio che si sviluppi una “psicologia della tomba, che a poco a poco trasforma i cristiani in mummie da museo… con la costante tentazione di attaccarsi a una tristezza dolciastra, senza speranza, che si impadronisce del cuore come il più prezioso degli elisir del demonio”.
Paola Campanini