C’è grande attesa per l’ordinazione presbiterale di Andrea Marescotti e Giuseppe Leone che sabato 25 giugno alle ore 20.30 in Cattedrale riceveranno il sacramento dell’Ordine per l’imposizione delle mani e la preghiera consacratoria dell’Arcivescovo di Pesaro monsignor Piero Coccia. Era dal 2006 che la Chiesa di Pesaro non viveva la gioia di una doppia ordinazione sacerdotale. Allora a dire il proprio sì al Signore furono don Matteo Merli e don Lorenzo Volponi. L’ultimo a diventare prete, in ordine di tempo, è invece don Fabio Casadio esattamente un anno fa.
Giovedì 23 giugno alle ore 21.15 nella chiesa parrocchiale di S. Carlo Borromeo si terrà una veglia di preghiera. Don Andrea e don Giuseppe presiederanno per la prima volta l’Eucarestia domenica 26 giugno rispettivamente nella parrocchia di S. Maria di Loreto (ore 11.30) e nella parrocchia S. Maria del Porto (ore 11.30).
Andrea Marescotti: “Nella Chiesa c’è posto per tutti”
Andrea, raccontaci un po’ della tua vita…
Sono nato ad Alfonsine (Ravenna) il 25 aprile 1985 e lì sono stato fino a 21 anni. Sono cresciuto come un ragazzo normale, che non ha mai avuto problemi a farsi degli amici. Ho avuto una gran passione per lo studio fino alle elementari; poi, dopo la prima media, l’amore è crollato e lo studio è diventato più un peso che una gioia. Mi sono diplomato in un Istituto Professionale Meccanico, ho lavorato per un anno ad Alfonsine e poi ho insegnato in un centro di formazione. Questa esperienza è stata per me molto bella, perché avevo a che fare con dei ragazzi difficili e provare ad insegnare a loro un mestiere dava una grande soddisfazione.
Com’era la tua famiglia e quale educazione hai ricevuto?
Provengo da una famiglia di non credenti. Né io né mio fratello, più grande di me di quattro anni, siamo stati battezzati. Mia madre è una sessantottina verace e anche l’ambiente di paese in cui vivevo era un po’ anticlericale, anche se più in apparenza che nella sostanza. Ricordo che una volta, in prima elementare, ho detto a mia nonna, come se fosse stato un fatto eccezionale, che una mia compagna di classe era nata il giorno di Natale. Ma mia nonna mi ha risposto: “E’ più importante il giorno in cui sei nato tu: il giorno della liberazione!”. Questa era l’aria che tirava a casa mia. Ma io ricordo sempre con grande simpatia sia la mia famiglia che il paese in cui sono nato e cresciuto.
Come ti sei avvicinato alla Chiesa?
Quasi per caso. Quando frequentavo la seconda media, sono stato invitato dai miei amici ad andare in oratorio ed io ci sono andato, anche perché la mia famiglia mi ha sempre lasciato libero. Lì è iniziato il mio cammino: un giorno dopo l’altro, una domenica dopo l’altra, ho cominciato a seguire la messa, a vedere i battesimi, ho imparato che con questo sacramento si diventa cristiani e lo si può diventare anche da grandi. Così, a 17 anni, la notte di Pasqua, ho ricevuto i sacramenti dell’Iniziazione alla presenza dei miei parenti, del prete che mi aveva guidato e di tanti amici che facevano parte del gruppo.
Come è nata la tua vocazione al sacerdozio?
A 19 anni, dopo essermi diplomato, ho iniziato a condividere con alcuni amici il sogno di andare in missione e di dedicarmi ai poveri. Siamo partiti per il Perù, pensando di fare grandi cose e di spaccare le montagne; in realtà abbiamo ricevuto tantissimo. Siamo stati in missione per quattro mesi, abbiamo lavorato tanto, abbiamo conosciuto molti ragazzi, ma ci sono stati anche tanto silenzio e tanta preghiera. Vivevamo insieme a un sacerdote, padre Alessandro e, guardando lui, ho pensato che forse una vita come la sua non era così male. Forse lì, per la prima volta, mi è venuta l’idea di diventare prete.
Ci sono stati ripensamenti?
Dopo questo primo pensiero, a cui non ho dato molto peso, sono tornato a casa e ho ripreso il mio lavoro, la mia vita di sempre. Sentivo però che l’idea mi si ripresentava spesso alla mente e così ho deciso di verificarla ritornando in missione e rimanendoci per un periodo più lungo. Dopo questa seconda esperienza durata nove mesi, ho avuto la possibilità di trasferirmi a Pesaro perché due miei amici dell’oratorio, Alessandro e Serena, insieme a Matteo e poi Lucia, avevano iniziato un servizio presso la parrocchia di San Luigi e avevano bisogno di aiuto. A Pesaro mi sono presentato all’Arcivescovo, che mi ha accolto molto bene e mi ha seguito nella decisione che avevo maturato di entrare in seminario.
Come è stata la tua esperienza in seminario?
Sono entrato in seminario nel settembre del 2008, dopo un colloquio con il rettore don Antonio. Il primo impatto è stato duro: innanzitutto non conoscevo nessuno e poi per me, che ero abituato ad essere libero e a gestire le mie giornate come volevo, è stato molto faticoso inserirmi in una vita di comunità ben organizzata. Non era facile neppure essere catapultato in una realtà completamente nuova con una trentina di ragazzi con cui non avevo niente in comune se non l’idea di diventare, forse, prete. E’ stato duro anche riprendere in mano i libri, studiare un po’ di latino, greco, filosofia che non avevo mai conosciuto. E, andando avanti negli anni, rendersi conto di che cosa ti chiede davvero la vocazione, come la scelta del celibato.
Con tutto ciò, quelli del seminario sono stati anni importanti, soprattutto per le amicizie che sono nate lì: è bene che si viva in comune il momento della verifica, perché scopri che i tuoi dubbi sono anche di altri, che lo sguardo che gli altri hanno su di te, su come preghi, come stai in comunità, come cammini, ti cambia. Insomma, sono stati anni belli, ma basta farli una volta sola!
Dove hai svolto il tuo tirocinio pastorale dal terzo anno di seminario?
Sono stato i primi due anni nella parrocchia di Osteria Nuova con don Lorenzo Volponi, un anno a San Carlo con don Massimo Regini e adesso sono da due anni nella parrocchia di Santa Maria di Loreto con don Giuseppe Fabbrini. Il tirocinio serve soprattutto a vedere come è la vita di un prete e per me è stato molto interessante perché sono venuto in contatto con tre sacerdoti diversi tra loro. Io sono un po’ timido e faccio fatica a buttarmi nelle cose, ma poi mi sciolgo e mi sono accorto che questi anni di tirocinio servono ad allargare le vedute, a non guardare solo al proprio orto.
Quali sono le necessità della Chiesa di Pesaro?
Pesaro vive una forte crisi di vocazioni. Ma questa crisi non è come la crisi economica che segue un suo ciclo e che si spera possa passare tra qualche anno. La crisi delle vocazioni è un problema di oggi, di come si vive la fede oggi, di come si è cristiani e come si è preti oggi. Forse richiede anche un cambiamento di strutture. Pesaro è una “periferia”, benché le situazioni si differenzino tra la città e le zone interne. Però non voglio essere pessimista.
Chiudiamo con un commento sul tuo compagno di ordinazione, Giuseppe e sullo stato d’animo con cui stai attendendo il 25 giugno.
Ho conosciuto Giuseppe in seminario e ho saputo con sorpresa, poco tempo fa, dall’Arcivescovo che saremmo stati ordinati insieme. Per me è una fortuna. Giuseppe è diversissimo da me in tutto: è preciso, ben organizzato, mi dice sempre quello che devo fare; ha scelto da tempo i canti per la celebrazione. Questo è il bello della Chiesa: che c’è posto per tutti, per uno e per il suo contrario.
Anche nello stato d’animo con cui attendiamo l’ordinazione siamo diversi: io non sono teso come lui; lo ero di più per l’ordinazione diaconale, perché in quel momento ero chiamato a due grandi svolte definitive della mia vita: il celibato e l’incardinazione all’arcidiocesi di Pesaro. Adesso certo c’è l’emozione per un’avventura nuova che inizia, però la vivo con serenità. Quello che adesso è da vivere è l’abbandono a ciò che il Signore fa.
Giuseppe Leone: “Mai avrei pensato di diventare prete”
Giuseppe, raccontaci un po’ della tua vita.
Sono nato il 23 ottobre 1969 a Tivoli (Roma), dove si è svolta tutta la mia vita fino all’età di 30 anni. Ho ricordi molto belli della mia infanzia, di giorni passati per strada, sulla collina, a giocare con gli amici in calzoncini corti e maglietta, a salire sugli alberi, costruire capanne, fino a tarda sera. Ho svolto a Tivoli il mio percorso scolastico fino alle Superiori, facendo esperienze molto belle con i miei compagni ed anche con lo studio, di cui sono sempre stato appassionato. Mi sono iscritto alla Facoltà di Economia e Commercio presso la Luiss di Roma perché ero proiettato verso il mondo aziendale.
Ti saresti mai immaginato prete?
Non mi era mai passato per la testa. Anzi ricordo che io e i miei amici facevamo gli scongiuri se vedevamo passare per strada una suora o un prete. E pensare che mi ero anche fermato alla prima comunione, sia perché i miei genitori non mi hanno spinto a proseguire sia perché io non sentivo la necessità di andare avanti.
Come nasce allora la tua vocazione?
Durante gli anni universitari ho vissuto momenti molto duri, di grande sofferenza, attraverso i quali ho cominciato a sentire che quello che avevo intorno a me non mi bastava; ho iniziato a desiderare qualcosa di più, che si manifestava ancora confusamente con un desiderio di aiutare gli altri, di andare in missione. Tuttavia mi sembrava sciocco abbandonare gli studi con la tesi quasi pronta; così ho deciso di laurearmi e di intraprendere un lavoro attinente. Posso dire, però, che i germi della mia vocazione siano nati in quel periodo.
Come sei capitato a Pesaro?
Mia mamma è originaria di Pesaro, perciò ogni anno venivo qui con la mia famiglia a Natale, a Pasqua o durante l’estate. Fin da bambino ho amato questa città non solo perché era un posto di vacanza e di villeggiatura, ma anche perché vi trovavo i nonni, gli zii e tutto quel calore affettivo che non avevo a Tivoli. Tanto che quando era il momento di ritornare a Roma, piangevo sempre. Ho spesso desiderato tornare a Pesaro e così ho iniziato a lavorare qui, ignaro di quello che sarebbe successo per la mia vocazione: a Pesaro infatti sono avvenuti gli eventi fondamentali che mi hanno portato alla conversione.
Che cosa è accaduto?
La mia conversione è iniziata nel 2000, quando sono stato testimone della sofferenza, ma anche del profondo cambiamento spirituale ed esistenziale di una persona a me molto vicina. Quel fatto mi ha messo con le spalle al muro, mi ha fatto avvertire in modo inequivocabile l’esistenza di Dio che si manifestava in Gesù. Ho provato così il desiderio di pregarlo, di conoscerlo: ho cominciato a leggere il Catechismo per i piccoli che mi aveva dato un sacerdote, perché io non sapevo quasi niente del cristianesimo, nemmeno la differenza tra Antico e Nuovo Testamento. Nel frattempo un prete a me molto caro, don Michele Rossini, mi ha portato nel novembre del 2001 a ricevere il Sacramento della Confermazione. Ricordo che, in quell’occasione, l’allora Vescovo di Pesaro Angelo Bagnasco mi chiese durante un colloquio personale: “Hai mai pensato di farti prete?” Io gli risposi di no.
E quando invece hai cominciato a pensarci?
Ho avuto tanti segni, che hanno trovato però in me un’accanita resistenza. Ricordo quando, entrando nella piccola chiesa delle Suore di Mercatello sul Metauro, mi sono visto improvvisamente dentro il confessionale a confessare; o quando, mentre ero a messa con la mia ragazza nella Chiesa di San Giovanni, ho ascoltato la parabola del giovane ricco e mi sono identificato con quel giovane, come se Gesù chiamasse anche me e io non volessi seguirlo perché ero attaccato a troppe ricchezze. Un richiamo l’ho avvertito anche mentre ero assorto in adorazione nel Santuario di San Giuseppe in Spicello e in altri momenti.
Quando ho capito che c’era per me una possibile vocazione, mi sono rivolto al Vescovo Bagnasco, che però è andato via da Pesaro poco dopo. Mi sono affidato così a padre Sergio Cognigni, francescano conventuale che si trovava a San Pietro in Calibano: una persona per me fondamentale, che ringrazierò per tutta la vita e che tuttora mi segue. Mi sono rivolto inoltre all’Arcivescovo Piero Coccia che, dopo varie vicissitudini, ha deciso di inserirmi nella parrocchia di Santa Maria del Porto con don Marco De Franceschi. Sono stati anni non facili per me che non provenivo dal mondo della parrocchia; anni durante i quali sono stato aiutato anche dal viceparroco don Lorenzo Volponi. Nel frattempo mi sono iscritto all’I.S.S.R. “Giovanni Paolo II” finché nel 2010 sono entrato in seminario.
Com’è stata l’esperienza del seminario?
E’ stata un’esperienza importantissima, grazie alla quale ho approfondito la mia vocazione e i miei studi, che ho completato presso l’Istituto Teologico Marchigiano. Ringrazio i miei formatori e il rettore don Luciano che mi hanno fatto sentire a casa.
Come vedi il tuo futuro a Pesaro e quali sono, secondo te, le necessità della chiesa pesarese?
Io non mi vedrei parroco, ma la mia vita è stata costellata di cose che non avrei mai scelto e che tuttavia mi hanno fatto un gran bene. Tendenzialmente mi sento vicino alle persone deboli e sofferenti perché vengo da quella realtà: mi piacerebbe dedicare più tempo a queste persone.
Per quanto riguarda la chiesa pesarese, mi piacerebbe che ci fossero un maggiore dialogo e una maggiore collaborazione tra le parrocchie e all’interno del presbiterio.
Un breve commento su Andrea, tuo compagno di ordinazione e sullo stato d’animo con cui attendi il 25 giugno.
Andrea è un tipo fantastico, è esattamente il mio opposto. Mi ricordo che in seminario certe volte si addormentava durante le lezioni. A volte mi fa arrabbiare, però ne ho anche bisogno come antistress. Sono molto contento di ricevere con lui l’ordinazione sacerdotale. I sentimenti che provo in questo tempo sono l’emozione, la commozione, lo stupore e soprattutto la gratitudine per questo grande dono che ci viene fatto.
1 commento
Mi chiamo Enzo Donati e sono di Alfonsine e sono un vicino di casa di Andrea.
Pur non credendo possa esistere l’Essere Superiore,Misterioso, non sono ateo, perché Credo nella capacità dell’uomo di saper scindere fra il bene e il male, fra il rumore e il silenzio e ammiro coloro che hanno avuto la fortuna , la capacità?, senza racchiudersi in un eremo o in un monastero claustrale, oppure in un bosco, o in cima ad una montagna, di creare il vuoto dentro la liro mente, per poter meglio ascoltare?, il proprio silenzio interiore, questo stato in cui vi è completa assenza di suoni o rumori, fra tutto questo parapiglia mondiale: guerre, malattie, povertà, ingiustizie ecc.,chi più ne ha, più ne metta. Il Silenzio c’è quando ti levi tutti i pensieri dalla testa..esserne capaci..!!! Anche durante la notte non c’è silenzio perché anche quando dormi senti i tuoi pensieri, i tuoi sogni che parlano. I puntini in una poesia o in uno scritto, non sono altro che silenzi, che permettono di ascoltare e gustare meglio le parole. Le parole non esisterebbero senza il silenzio che fa loro da sfondo… e il silenzio non esisterebbe senza che le parole ne rivelassero l’esistenza con la loro assenza… proprio come le ombre esistono poiché la luce le rivela… ,ma questo, secondo me è silenzio esteriore. Misterioso questo «essere interiore»; poiché simboleggia uno stato d’animo piuttosto che un posto determinato .Sarà infatti nel silenzio assoluto? del deserto che Mosé poté conversare con Dio? e, sempre grazie al silenzio, vivere l’esperienza interiore. che diversi personaggi biblici hanno vissuto profondamente simili momenti di grande misticismo? Ovunque nella Bibbia il silenzio del deserto risuona! Ma non si può dire con certezza cos’è il silenzio. Non è niente di percettibile. Non agisce nel campo dell’energia, del movimento, ma rappresenta un non-stato al di là di tutti gli stati. Quando nel Nuovo Testamento Gesù tace, comunica qualcosa di più profondo e con un contenuto più vasto e più pertinente di quanto possono dire le parole. Rimproverato per essere stato silenzioso davanti a delle persone che l’hanno voluto provocare, dirà infatti: ; «Se non è stato toccato dal mio silenzio, non lo sarebbe stato certamente neanche dalle mie parole.» Questo di Gesù è silenzio esteriore, Ma il silenzio non è solo quello esterno vi è anche un silenzio interiore che è più importante di quello esteriore. Il silenzio interiore è la capacità di creare il vuoto dentro la nostra mente, per poterla meglio ascoltare. Quando Gesù Cristo sulla croce, poco istanti prima di morire si rivolge al Padre dicendo: ..” Padre mio, perché mi hai abbandonato..” in quell’istante il Silenzio si è fatto Paura, si è fatto Morte. Non so se mi sono spiegato sufficientemente quando dico che il silenzio, riferendomi a quello interiore, è morte…è una mia verità. Mi congratulo con i ragazzi e li ammiro avendo ascoltato il loro silenzio interiore e dato vita alla propria vocazione e fede.