Giovani adulti senza radici
I dati delle ricerche sociologiche segnano scarti enormi tra chi è diventato maggiorenne dopo il Duemila (i millennials) e le generazioni precedenti per quanto riguarda la pratica delle Fede. In un paese come il nostro, dalle forti radici cattoliche e dalla forte presenza della Chiesa, solo un giovane su due si identifica come cattolico. In particolare quelli nati dopo il 1981 sono i più estranei ad una esperienza religiosa. Non è un fatto culturalmente definibile, come ad esempio di secolarizzazione, ma semplice incredulità. Non comprendono più il legame tra crescita dell’umano e Fede o che il Vangelo possa offrire un orientamento decisivo in mezzo al mondo delle cose. Tutto ciò è incredulità seppure paradossalmente compatibile con una evidente elementare ricerca di spiritualità. Una piccola luce che tiene a galla la speranza. Oltre le condizioni contestuali concrete in cui i giovani spesso si trovano a vivere, tuttavia dal punto di vista ecclesiale la domanda vera e storica è un’altra. Perché i giovani adulti (trentacinquenni) non riescono a memorizzare la propria esperienza religiosa vissuta per lungo tempo, grazie alla partecipazione alla vita della Chiesa durante l’età infantile ed adolescenziale diventando così perfettamente estranei alla Fede? Papa Francesco, a proposito, ha invitato la comunità credente a riconoscere la presenza di una rottura nella trasmissione generazionale della Fede. A partire dal secondo millennio non ha avuto luogo quella testimonianza cruciale che ogni generazione adulta deve assicurare a favore dei nuovi nati e che la scelta della Fede abbia a che fare con il compimento della propria umanità. La crisi quindi non è da addebitare alla generazione dei “millennials” (giovani adulti) ma a quella che li ha generati. Si tratta infatti di riconoscere che la cinghia di trasmissione si è inceppata. Ed è ciò che la comunità dei credenti fatica a cogliere a causa della “eccessiva enfasi” data alle organizzazioni istituzionali (vedi parrocchie) dei percorsi di iniziazione ove l’essenziale contributo dei genitori non c’è stato. Non è più possibile perciò riflettere sul rapporto tra giovani adulti e Fede senza considerare seriamente quell’essenziale che lega le generazioni tra loro. Qual è l’effettiva consistenza dell’esperienza religiosa dei cosiddetti “Baby boomers”, genitori appunto, dei giovani adulti? La scarsa testimonianza che hanno saputo offrire ai loro figli ci invita a cogliere, dietro un’appartenenza ecclesiale mai negata, un cambiamento che ha di fatto marginalizzato nella loro esistenza la Parola del Vangelo. Hanno certamente chiesto per loro i sacramenti ma senza credere nei sacramenti, li hanno portati in chiesa, ma non hanno portato loro la Chiesa, hanno insistito che essi dicessero le preghiere e ascoltassero le Letture, ma non hanno mai pregato e ascoltato le Letture insieme (vedi messa domenicale). È mancata loro la testimonianza di cosa significa veramente essere adulti nella Fede ed è questa la causa prima della loro incredulità. Non sarà certamente semplice per le comunità cristiane delineare oggi il volto di una eventuale pastorale giovanile. Bisognerà voltare pagina.
Raffaele Mazzoli