ALL’ISSR DI URBINO ERA STATO CHIAMATO DA DON ITALO MANCINI NEL 1987
Fouad Khaled Allam, l’amico musulmano
di Piergiorgio Grassi
Fouad Khaled Allam è morto improvvisamente a Roma il 10 giugno scorso a Roma . La stampa nazionale, radio e televisioni hanno pubblicato con rilievo alla notizia, data la notorietà dello studioso che era un ricercato opinionista.
A Urbino avrebbe dovuto presentare il suo ultimo libro, Il Jahidista della porta accanto, il 26 agosto prossimo, in occasione dei corsi estivi dell’Istituto superiore di scienze religiose. Dopo 27 anni, aveva lasciato l’insegnamento di Cultura e religione islamica, cui era stato chiamato da don Italo Mancini nel 1987. Per alcuni anni aveva insegnato anche nella laurea specialistica in antropologia ed epistemologia delle religioni presso la Facoltà di Sociologia. Una malattia invalidante, il diabete, gli rendeva ormai difficile venire nella città feltresca nei freddi mesi invernali ; per questo aveva rinunciato a tenere lezioni, ma non aveva voluto rinunciare all’opportunità di parlare ancora una volta agli studenti che avevano sempre seguito con attenzione le sue lezioni e si preparava ad un ennesimo appuntamento estivo a Palazzo Petrangolini.
Docente all’Università di Trieste , Allam veniva da studi molto seri alla Sorbona di Parigi dove si era laureato in scienze politiche sotto la guida di Mohammed Arkoun, berbero di nazionalità algerina, studioso che aveva impresso un nuovo indirizzo agli studi di islamologia. Usando il metodo comparativo, aveva cercato di mostrare come l’Islam, lungi dall’essere ascrivibile al fondamentalismo, avesse nel suo seno grandi potenzialità di cambiamento e di adattamento alla modernità. Rinviava spesso all’epoca classica, (IX-XIII secolo) quando esisteva un dinamismo ed una flessibilità del pensiero che, a suo parere, andavano ripresi in forma rinnovata, operando per la chiarificazione dei concetti fondamentali della ragione islamica e per la decostruzione delle immagini stereotipate che circolavano in Occidente . Allam non aveva dimenticato questa lezione e in Italia (aveva preso la nazionalità del nostro paese e si sentiva “uno che si muove sempre tra due culture”) si era impegnato a descrivere il mondo da cui proveniva: le sue ricchezze culturali, le sue contraddizioni profonde, i pericoli che potevano derivare qualora si fosse interrotto il desiderio di capire processi sociopolitici di lunga durata e si fossero accumulati pregiudizi o interventi ostili.
Nato ad Algeri da una famiglia benestante, conosceva molto bene la situazione politica del Nord Africa. Il padre , medico, aveva partecipato alla guerra di liberazione dal colonialismo francese; era stato uno dei portavoce di Ben Bella, primo presidente della repubblica algerina, ed era andato in esilio con tutta la famiglia in Francia quando i militari di Boumedienne avevano preso con la forza il potere, imponendo un regime duramente autoritario. E a Parigi il giovane Allam aveva frequentato i corsi di Mohammed Arkoun che aveva invitato poi a Urbino a tenere un seminario, davvero memorabile per chi ebbe modo e fortuna di ascoltarlo.
Sociologo rigoroso, coltivava interessi per la letteratura, per l’antropologia e per la storia del mondo arabo. Una delle ragioni per cui le sue lezioni evocavano vividamente mondi lontani e invitavano ad osservarli con occhi più liberi da pregiudizi. Nel libro Il jahidista della porta accanto (edito da Piemme) aveva raccontato l’avventura tragica dei giovani che, islamici di origine o convertiti, si sono lasciati irretire nella trappola della propaganda dello Stato islamico e che, nel vuoto ideologico creatosi da quasi trent’anni, guardavano all’Islam politico come ad una nuova forma di utopia e di speranza collettiva. A chi gli chiedeva qualche mese fa che cosa si potesse fare, oltre agli interventi di emergenza, per arginare quella che chiamava la ‘ globalizzazione dell’orrore” , rispondeva che si esigeva un dialogo su basi nuove tra islam e Occidente. “E’ un lavoro lungo, ma decisivo: ne va dei futuri equilibri sociali, -osserva- anche perché l’Islam non è più lontano, ma è dentro le nostre società. Non è più ipotizzabile un atteggiamento da ‘ conquistatore’. Ruolo importante in questo senso, possono avere la Chiesa Cattolica e il papa e quanti nel mondo musulmano condividono i valori della democrazia. Ma bisogna aiutare questi intellettuali e non silenziarli come si fa oggi”. Invocava dunque una posizione di ascolto tra cristiani e muslmani, di convergenze operative e di comportamenti meno distratti di fronte a sconvolgimenti geopolitici di enorme portata.