21 MARZO 2015 – GIORNATA MONDIALE DELLA SINDROME DI DOWN
Mio figlio Manuel
Alcuni giorni fa un conoscente: «Ora tuo figlio è grande e fra breve non andrà più a scuola, non temi che sarà sempre più solo?» È uno degli innumerevoli stereotipi quando si pensa alla disabilità: la solitudine dei nostri figli ed anche di noi genitori. Ma la sindrome di Down non è solitudine, né abbandono, né sofferenza, né tristezza. Non ho mai conosciuto nessun neonato in Trisomia 21 (ed in venti anni ne ho visti tanti) nascere con tali caratteristiche. Questa sindrome non è una malattia nè tantomeno rischia di contagiare tristezza, solitudine, cattiveria. È uno stato fisico, psichico, mentale e relazionale che necessita certo di maggiori attenzioni e buone prassi affinché il soggetto possa vivere al meglio. Ma quale figlio non necessita il meglio per la propria vita?
«Avete fatto molto per questo vostro figlio. Siete stati per lui una fortuna». Ecco un’altra frase senza senso che mi capita di ascoltare. E invece è proprio nelle difficoltà che ho imparato ad amare mio figlio scegliendolo ogni volta come figlio e scegliendomi come madre tutti i giorni.
Piuttosto il rischio che corre qualsiasi famiglia è quello di non preoccuparsi del bene dei propri figli. In questo noi genitori di ragazzi Down siamo avvantaggiati, perchè quando nasce un bambino con la Trisomia 21 siamo “costretti” a preoccuparci sin da subito.
Sì, moltissimi genitori che hanno figli con la sindrome spesso si sentono avvantaggiati. Perché mentre con altri figli tutto scorre veloce, con i bimbi speciali tutto avviene potentemente. Tutto conta, tutto vale, tutto è una conquista, tutto è gioia, tutto è al massimo.
Responsabilità, lavoro, autonomia, amore sono obiettivi accessibili ormai a tutti così come abitare da soli oppure con il proprio amore, e perfino sposarsi. La sindrome è solo una condizione di partenza. Sta alla famiglia, alla scuola, allo sport … dare possibilità di riuscita, con coraggio ma anche con tenerezza, affetto, stima e amore.
Cosa chiediamo alle istituzioni? Che ci possano accompagnare lungo il percorso. Mai ostacolare, mai distrarci e mai farci patteggiare. Ciò che vogliamo è combattere amorevolmente la battaglia della miglior vita possibile.
Via quindi il pregiudizio che le persone con sindrome di Down siano tutte uguali. Semmai uguali per i diritti ma diversi così come ognuno di noi (ed anche loro) è diverso dagli altri.
Romina Alesiani (mamma di Manuel De March / Fano)