BAMBINI NEL PESARESE MASCHERATI DA TAGLIAGOLE ISIS IN PIAZZA E A SCUOLA
L’altra faccia del carnevale
Carnevale ha chiuso i battenti in tutta la provincia lasciando una quanto mai necessaria scia di allegria e spensieratezza. A Fano le magnifiche sfilate hanno richiamato decine di migliaia di spettatori così come a Pesaro e Urbino e nei centri più piccoli della nostra provincia. Tuttavia in mezzo ai mille colori della festa abbiamo notato anche dei punti neri.
Alcuni bambini a Pesaro e in provincia hanno “scelto” di travestirsi da tagliagole dell’Isis. Ne abbiamo contate alcune decine tra il pubblico alla sfilata del “Carnevale dei Ragazzi” in piazza Carducci, ma anche in alcune scuole della provincia. Certo si è sempre usato (per i maschietti) travestirsi da guerriero: Zorro, pirata … ma qui fa davvero fa un certo effetto vedere dei bambini in tuta nera e passamontagna integrale brandire un coltello seppur di plastica. Un “gioco”, proprio mentre migliaia di bambini vengono torturati, violentati e uccisi dalla guerra, quella vera ormai alle porte di casa nostra.
“Semel in anno licet insanire”, se è pur vero che una volta all’anno è lecito scherzare, questa volta dove sta l’ironia?
3 commenti
Gentile redazione,
trovo preoccupante il Vostro editoriale allarmistico sui presunti travestimenti da “tagliagole dell’Isis” da parte di alcuni piccoli della città di Pesaro.
Nulla, in quei travestimenti, confermava la Vostra interpretazione; non una scritta, non un simbolo che rinviasse direttamente ed esplicitamente ai militanti del Califfato.
Tutto suggeriva, anzi, che si trattasse di costumi da “ninja” – costumi che, piaccia o meno, godono di una certa popolarità da tanti anni e che non sono mai mancati nelle nostre strade in occasione del carnevale, oggi rilanciati anche da alcuni videogiochi.
Siete sicuri che non sia stata, invece, la Vostra/nostra paura a suggerirvi una simile, errata interpretazione?
In tempi come questi, in cui alla Cristiana e civile accoglienza fa da contraltare la diffusione di timori e sospetti, per quanto irrazionali, soffiare sul fuoco dell’intolleranza, ipotizzando un “contagio” dei nostri bambini da parte dell’iconografia violenta di un movimento così scellerato, mi sembra ancora più preoccupante e irresponsabile.
Gentile Sig. Gianpaolo Ornaghi grazie per averci scritto. Purtroppo non si tratta di una nostra interpretazione nè tanto meno di paura come lei dice. Nessuna preoccupante irresponsabilità e ci mancherebbe pure. A differenza di altri giornali prima di pubblicare (essendo un settimanale) ci possiamo permettere il lusso di “sprecare” più tempo per verificare con grande accuratezza le fonti da cui attingiamo. Non stiamo quindi parlando di supposizioni, o nostre impressioni ma di conferme dirette. Nessun Ninja dunque. Sul prossimo numero del Nuovo Amico – se avrà la bontà di seguirci ancora – lo spiegheremo ancora meglio ai nostri lettori, dai quali (ahinoi) sono invece arrivate in queste ore ulteriori conferme. Grazie per averci scritto – Saluti
PS. – Rimandiamo anche a questo ulteriore approfondimento che integra la nostra risposta
http://avvenire.ita.newsmemory.com/publink.php?shareid=19c96beff
Gentile Direttore,
La ringrzio, innanzitutto, per aver pubblicato la mia osservazione e per avere risposto con tanta prontezza.
Ho letto con attenzione la Sua, come l’editoriale da Lei postato quale approfondimento della questione.
Mantengo, tuttavia, alcuni dubbi sul tema del Vostro articolo: da quanto si evince nella risposta – e nell’editoriale di Avvenire, che diversi elementi contenuti nel testo suggeriscono essere stato scritto anche in risposta alla mia mail – si sarebbe trattato di “ragazzi”, non di bambini.
Già questa mi sembra una differenza notevole, da tenere presente. Perché un conto sono le decisioni che si possono prendere (talvolta incondivisibili, certamente) in una fase come quella adolescenziale – che, nella inevitabile confusione di un momento in cui valori, appartenenza e identità sono in costruzione, e questo può avvenire “per converso” rispetto ai valori consegnati/imposti dalla società e dal mondo, così distante, degli adulti, può concretizzarsi in comportamenti “urlati”, senza reale adesione alle narrazioni evocate. E senza – ed è la cosa più importante – che questi “sbandamenti” lascino traccia, abbandonati dalla memoria dell’individuo al momento di superficialità che li aveva prodotti.
Altro è evocare una scelta simile da parte di bambini, che implicitamente suggerivate essere possibili alunni della scuola primaria (l’appello alle maestre e ad un loro intervento, quando questi si fossero recati a scuola col medesimo travestimento, sembrerebbe confermarlo), le cui decisioni passano, necessariamente, per l’approvazione/collaborazione – alla peggio, indifferenza – da parte dei genitori.
Detto questo, rimango scettico anche sulla possibilità che si trattasse di ragazzi più grandi, nei confronti dei quali mantengo una sostanziale fiducia. Così come, non me ne vogliate, sono scettico sul fatto che quella vista e segnalata dal vostro lettore fosse una bandiera dell’Isis…
Non voglio minimizzare l’eventuale gravità di quanto potrebbe essere accaduto, semplicemente perché non credo sia accaduto.
Non, in ogni caso, nei “numeri” che sembravate riportare nel primo articolo: “Ne abbiamo contate alcune decine tra il pubblico alla sfilata del “Carnevale dei Ragazzi” in piazza Carducci, ma anche in alcune scuole della provincia”; alcune decine, per una realtà come la nostra, sono decisamente tante. Troppe.
Perdonatemi se insisto su questo tema, ma mi ferisce particolarmente proprio perché lavoro a contatto con l’infanzia, in una delle scuole cui, probabilmente, facevate riferimento nell’articolo. E non solo non ho visto nulla di tutto questo, ma non ne rintraccio neanche lontanamente il rischio: i nostri bambini e le nostre bambine sono distanti anni luce dalla morbisità con cui – questo sì – si tende a dare visibilità alle ben congeniate opere mediatiche di questi gruppi armati, che hanno sviluppato una notevole efficacia nel veicolare messaggi di intolleranza e di odio. Un tranello in cui noi si cade spesso e con troppa facilità.
Un’ultima cosa mi permetto, forte della disponibilità che avete mostrato: è buona regola, quando si vuole argomentare le proprie posizioni di fronte ad un interlocutore critico, non citare sé stessi, perché cade il principio stesso di argomentazione. In questo senso, l’editoriale di Avvenire” riporta le informazioni contenute nel Vostro giornale, unitamente ad un approfondimento che può essere utile nel merito, ma nella sostanza non fornisce elementi ulteriori.
Nel ringraziarLa, faccio presente che non mancherò di seguire il prossimo numero del giornale, come da Lei suggeritomi.