Terremoto, terrorismo e mafia hanno oscurato le elezioni amministrative. Le hanno tolto l’onore della prima pagina. In un cielo appesantito dall’emergenza-crisi, latita la politica anche se riprende il rumore dei partiti. I quali si consolano (magra consolazione) analizzando le percentuali dei voti ricevuti nelle due mandate, lungi dall’ammettere la propria disfatta.
Illusorio perfino il successo delle Cinque stelle e la tenuta del Pd. La batosta arriva da quel 50% del “partito degli astenuti” registrato nella seconda delle mandate (ballottaggio).
Difficilmente gli applausi a chi recita sul proscenio si mutano in politica e altrettanto difficilmente gli applausi a chi fa demagogia nella piazza. È ora che la classe politica, numericamente intatta fino al 2013, faccia i conti con la ragione e con la responsabilità, metta da parte gli interessi particolari e riscopra, con umiltà e pazienza, le reali esigenze del bene comune.
Si riprenda almeno il corretto esercizio parlamentare, giustificando democraticamente il governo tecnico, governo di emergenza e di transizione per il periodo di una crisi che ha le caratteristiche della globalità. Non solo umiltà e pazienza ma anche sapienza dell’anziano.
È stato scritto in questi giorni che l’Italia ha la classe politica più ‘vecchia’ del continente. Non ricuso il genere delle parabole. Come per l’anziano arriva il momento di fare testamento, similmente anche per il politico, seppure con modalità e motivazioni diverse: lasciare spazio ai giovani, almeno a due generazioni, tenute ‘sottovuoto’ e i frutti preziosi della propria esperienza e le giuste raccomandazioni: no alla conflittualità permanente, come antitesi, perché politicamente non paga e perché appartiene ad un’ideologia su cui la storia ha espresso il suo giudizio.
No all’autorità come potere bensì come servizio e perciò fuggire la tentazione dell’avidità e dell’attaccamento alla poltrona, anticamera della corruzione. L’invito a “uscire fuori dal guado” che, agli albori del terzo millennio, l’allora arcivescovo di Pesaro mons. Bagnasco rivolse ai politici pesaresi ora, come presidente della Cei e rappresentante dei cittadini cattolici che sono in Italia (70%), lo rimanda a tutto il Paese. Si tratta in definitiva di inventare uno slancio per un cambiamento radicale che investa tutto l’uomo “modelli di pensiero e stili di vita”.
Raffaele Mazzoli