“Ciò di cui abbiamo bisogno è una risurrezione che abbia la stessa forza rivelativa di quella data ai discepoli al terzo giorno, una risurrezione che possa correggere tutti i nostri errati concetti di paura della sofferenza e della croce e diventi un punto di partenza per la nostra fede e una forza dalla quale trarre la capacità non solo di capire il potere che ha la croce di perdonare i nostri peccati, ma anche di sopportare le stesse sofferenze della croce ripieni di gioia. Non sarà più un’agonia, ma una comunione nella gloria, come ha scoperto San Paolo: “Se partecipiamo alle sue sofferenze parteciperemo anche alla sua gloria” (Rom 8,17)”. (Matta El Meskin. Monaca copta).
Risurrezione. Parlare della risurrezione ci mette sempre in crisi. Come fosse un evento lontano che riguarda qualcun altro, un mistero da credere ma che in realtà non ha nessuna attinenza con la nostra vita reale, concreta. Eppure è il nucleo centrale, il fuoco da cui prende luce tutta la nostra fede se è davvero tale, poiché senza la risurrezione di Gesù, nessun dolore, nessuna croce ha senso. Si ferma tutto lì, non c’è riscatto, non c’è futuro, non c’è niente. E aspettare niente è morire.
Il modo migliore per far entrare la luce della risurrezione nella nostra vita è quello di guardare ai risorti che vivono accanto, cioè a tutti coloro che riescono, non in virtù di qualità umane, personali particolarmente spiccate, a far passare la luce nelle ferite e così a rendere il dolore una fonte di gioia pura. Questa è un’operazione che compie solo Dio in noi, ma a noi sta il compito di lasciarlo fare.
Il punto di partenza. La risurrezione inizia a dare frutti di luce e di gioia nella nostra vita quando riusciamo a guardare in faccia le nostre paure e a dargli un nome. Ad esempio dirci sinceramente che abbiamo paura della morte, della sofferenza, dell’abbandono. Paura di non farcela a sopportare una croce troppo pesante. Questo è lo sguardo orizzontale, di per sé è giusto essere realisti e ammettere che la parte umana in noi è più forte di quella spirituale, ma ci vuole poi uno scatto di fede che ci consenta di mollare gli ormeggi e permettere a Dio di attraversare la nostra vita facendosi compagno di viaggio, spesso non togliendoci le croci, ma affrontandole con noi. Far passare la luce della sua risurrezione non è fermarsi al presente doloroso, ma camminare con la fiducia che è provvisoria la croce che sono chiamato a portare e soprattutto la buona notizia è che Qualcuno la condivide con me dal di dentro. Ci sono di sicuro delle persone, una o più, che abbiamo incontrato che, seppure in mezzo a tante sofferenze, erano gioiose, ma di una gioia soprannaturale, profonda, che guarda oltre. Anzi che dà a tutto ciò che umanamente scarteremmo un valore immenso. Grande è il potere della Risurrezione, già in questa vita e non solo nella speranza dopo la morte.
Comunione nella gloria. Avere delle paure è normale, guardare le conseguenze che il dolore ha nella nostra vita è umano, ma nella vita spirituale c’è un di più, che si chiama comunione nella gloria. Far entrare la luce della risurrezione nella nostra sofferenza è permettere a Dio di farci passare la luce già in questa vita e ci rende partecipi della vita di Cristo che, in quanto uomo, ha voluto condividere questa condizione di caducità con noi, trasformandola dal di dentro. Anzi, di più, entrare nella comunione con queste sofferenze è partecipare della sua gloria. La forza della risurrezione sta proprio in questa comunione di gloria che passa però attraverso il dolore. Il frutto da cui si riconosce che riusciamo a far passare questa luce in noi nonostante la fatica, che non manca, è la gioia. Una gioia pulita, frutto buono di un cuore purificato, che dall’umano sguardo orizzontale è passato allo sguardo spirituale che è verticale. La gioia più grande per il cristiano, allora, è proprio quella di essere associato a Cristo non solo nella sofferenza, ma nella comunione della gloria immortale.