Alle 22, 17 minuti e 40 secondi di domenica 20 luglio 1969 (ora italiana) il modulo lunare Lem “Aquila” con a bordo Niel Armstrong ed Edwin Aldrin atterrava sulla Luna. Il terzo astronauta, Michael Collins, era rimasto in orbita lunare sul modulo di comando “Columbia”. Era la fase più delicata della missione Apollo 11, iniziata quattro giorni prima. 50 anni dopo, l’anniversario della storica scoperta viene celebrato in tutto il mondo. Dal 1972 nessun equipaggio umano aveva più raggiunto il nostro satellite. Ma dopo mezzo secolo, un nuovo scenario politico-economico internazionale ha riportato alla ribalta l’impresa lunare. Ci accingiamo ora a far ritorno sulla Luna con almeno due missioni spaziali che arriveranno sul satellite nel corso del 2019. Ne abbiamo parlato con fratel Guy Consolmagno, direttore della Specola Vaticana, l’osservatorio astronomico della Santa Sede, uno dei più antichi in Europa, con sede a Castel Gandolfo.
Perché è ancora oggi così importante questo grande evento?
Ci sono due lezioni importanti dallo sbarco sulla Luna di cui possiamo far tesoro ancora oggi.
Il primo è il senso di speranza, il fatto che gli esseri umani siano capaci di compiere ciò che sembra impossibile, se solo si mettono in testa di farlo. Bisogna ricordare che il primo satellite fu lanciato soltanto nell’ottobre del 1957, cosa che al tempo sembrava una conquista scioccante. E soltanto nel maggio del 1961, meno di quattro anni dopo, il presidente Kennedy ha annunciato l’obiettivo di far arrivare gli esseri umani sulla Luna, entro dieci anni! Sembrava ridicolo. Eppure l’hanno fatto.
Possiamo pensare al disastro incombente dei cambiamenti climatici, per esempio, e disperare che nulla possa essere fatto. Ma l’allunaggio ci ricorda ciò che possiamo fare con una leadership condivisa. Il miracolo del programma Apollo non fu nelle scoperte della scienza necessarie per arrivarci – i razzi non usarono alcun tipo nuovo di scienza. E neanche in una ingegneria spaziale particolarmente rivoluzionaria.
La vera conquista fu la capacità di mettere insieme e finanziare mezzo milione di persone per lavorare ad un obiettivo comune.
E la seconda lezione?
È quella più legata direttamente ala Luna stessa. L’atterraggio sulla Luna ci ricorda in modo molto chiaro che il pianeta Terra non è la fine e il limite dell’esistenza umana. Siamo stati sulla Luna, e ci andremo ancora.
Qual è il significato, per la Chiesa, di questa scoperta, e come procede la ricerca scientifica dell’”osservatorio astronomico del Papa”, sulla luna e gli altri pianeti?
Proprio perché apprezziamo l’immensità della creazione possiamo accorgerci di quanto immenso sia Dio. A partire da questo, possiamo comprendere che un Dio infinito può concentrare la sua attenzione amorevole su ciascuno di noi, non soltanto qui e ora sul pianeta Terra ma su qualunque altra creatura ci sia, ci possa essere o ci possa essere stata. Questo dovrebbe collocare i nostri problemi in un’altra prospettiva, farci fermare a riflettere e darci speranza.
L’interesse internazionale degli scienziati per questo pianeta è ripreso. Cina, India e la Nasa stanno lanciando nuovi progetti. Quali sono, secondo lei, le reali prospettive? Le nostre conoscenze aumenteranno?
Più spesso gli esseri umani andranno sulla Luna, più impareremo sulla scienza del nostro e degli altri pianeti: una conoscenza preziosa di cui abbiamo bisogno, per prenderci cura della nostra casa.
Più viviamo in luoghi differenti, più sperimenteremo i differenti modi in cui l’essere umano può vivere. E soprattutto capiremo quali obiettivi possiamo raggiungere se lavoriamo insieme, e solo se lavoriamo insieme. Differenti nazioni possono mandare le loro astronavi sulla Luna, ma nessuna nazione può farlo da sola: perfino il programma Apollo è dipeso da collaboratori per rintracciare intorno al mondo il veicolo spaziale. Solo se ‘ci abituiamo’ a vivere sulla Luna possiamo imparare come utilizzare le sue risorse, che non sono soltanto minerali. Esistono anche risorse di nuove visioni dell’universo.
M.MICHELA NICOLAIS