Al n. 50 di Via Rossini, a fianco del sagrato della Cattedrale, sorge un edificio le cui forme armoniose evidenziano l’originaria natura di chiesa-oratorio, la cui riconversione risalente al secondo dopoguerra, ne ha di fatto trasformato la funzione: si tratta della chiesetta del Santissimo Sacramento, sede nel ‘500 dell’omonima confraternita pesarese, oggi adibita ad usi commerciali. Il recente ripristino architettonico della facciata, compromessa dall’azione degli agenti atmosferici e dall’inesorabile scorrere del tempo, fornisce l’opportunità di documentare questa antica realtà, forse poco nota ai pesaresi di oggi.
Storia. Siamo alla metà del Cinquecento nell’epoca della Controriforma, un periodo di profondo rinnovamento spirituale e di conflitto con le eresie protestanti, quando la Chiesa cattolica si trova ad incoraggiare la diffusione delle associazioni laiche di fedeli e particolarmente quelle devote al tema dell’Eucaristia, quali realtà di attivismo religioso, in affiancamento alle strutture ufficiali diocesane presiedute dal vescovo. La confraternita pesarese fu in anticipo sui tempi e nacque come libera aggregazione il 5 luglio 1550 quando, un gruppo di cittadini ottenne il permesso di edificare la propria cappella all’interno della Cattedrale, a spese del Consiglio civico. Grande slancio ebbe tale aggregazione ai suoi esordi poiché beneficiò della protezione dei Della Rovere nelle figure dei suoi massimi rappresentanti, la duchessa Vittoria Farnese e suo marito Guidubaldo II duca di Pesaro, che ne auspicarono la fusione con la Scuola del Buon Gesù, altra compagnia dalle analoghe finalità devozionali, attiva in città dal 1447, che aveva la sua sede in “quarterio Sancti Terentii”. Il terreno dove sorse la chiesa, attiguo al sagrato del Duomo, apparteneva anticamente al Capitolo della Cattedrale e all’oratorio di San Mauro; proprio in questa luogo le due compagnie unificate si insediarono il 19 gennaio del 1568, sotto l’approvazione formale dell’allora vescovo Giulio Simonetta.
Recupero. La chiesa presenta una semplice facciata scandita dalla presenza di quattro paraste lisce, sormontata da un fastigio triangolare con modanature mistilinee. Gli elementi decorativi del prospetto quali le cornici che valorizzano le lunette, i capitelli e la trabeazione sono in arenaria, pietra comune del territorio marchigiano, particolarmente apprezzata per il caldo effetto finale di resa sulle superfici, mentre la pietra calcarea si evidenzia nell’ elegante portale classico e nelle balaustre. L’intervento sulla facciata eseguito dalla Ditta Gamma S.r.l. Conservazione e Restauro Beni Artistici, ha riguardato l’opera di restauro degli apparati lapidei, fortemente compromessi e pericolanti ed il ripristino della tinteggiatura delle porzioni di intonaco. L’esame ravvicinato nel corso delle operazioni di restauro ha purtroppo evidenziato come in occasione di precedenti interventi l’intonaco originale fosse stato completamente rimosso e sostituito con intonaco cementizio, così anche per le paraste che erano in originariamente in pietra arenaria, ma di cui rimangono solo alcune tracce. È stata quindi espletata una campagna di saggi mirata alla ricerca di residui di coloriture originali, riportando in luce piccoli frammenti di finitura color terra di Siena. A seguito delle indicazioni fornite dalla competente Soprintendenza S.A.B.A.P. di Ancona si è quindi riproposta sugli intonaci la tonalità originale leggermente in sottotono, mentre la finitura delle paraste, quali elementi decorativi non secondari nella configurazione primigenia, è stata eseguita con impasto ad imitazione della pietra arenaria originale. La sobrietà del prospetto rievoca i dettami dell’architettura di tipo oratoriale secondo cui, alla nuda semplicità esterna, dovevano corrispondere all’interno ornati di particolare pregio: lo splendore dell’oro, delle pitture e delle modanature lignee degli arredi. Gli altari della chiesa erano tre: sulla parete di fondo uno scenografico dossale in legno dorato incorniciava un pregevole dipinto di Niccolò Martinelli detto il Trometta, l’Ultima Cena (post 1568); a destra era l’altare dedicato ai Santi Ignazio di Loyola e Francesco Saverio, con la scultura lignea del Cristo a grandezza naturale, mentre a sinistra l’altare era provvisto della Circoncisione di Gesù (1600 ca.), tela dipinta da Terenzio Terenzi detto il Rondolino.
Interni. Ad impreziosire ulteriormente l’interno contribuiva l’imponente coro decorato con balaustra, provvisto di statue dorate. Nulla di tutto ciò si trova più nella sua sede originale. A seguito dei decreti emessi prima per la soppressione delle confraternite, dal vescovo Bonaventura Porta nel 1949 e poi per il trasferimento dei beni delle stesse, da Carlo Borromeo nel 1969, tutti gli arredi lignei degli altari e le opere pittoriche furono traslati nella chiesa parrocchiale di San Lorenzo di Tavullia, dove si trovano tutt’ora. A documentare il quanto mai prolifico contesto artistico rimangono le opere mobili della compagnia, oggi conservate presso il Museo diocesano pesarese come la tabella dei confratelli, lo stendardo processionale, la statua di S. Francesco Saverio e il Cristo in pietà, scultura in legno dorato e intagliato databile al 1778. Di eccezionale importanza è inoltre la sopravvivenza del materiale archivistico della confraternita, oggi conservato in un fondo dell’Archivio storico diocesano; recuperato e riordinato nel 2005, esso permette una migliore conoscenza del periodo storico e delle dinamiche sociali e religiose entro le quali tale realtà ebbe la sua definizione.
Confraternita. Dallo studio dei documenti si apprende come la compagnia fosse organizzata secondo uno statuto che ne articolava la forma societaria ed era dedita dal punto di vista religioso, alla promozione del culto della Santissima Eucaristia e principalmente nel compito di scortare il sacerdote che recava l’ostia consacrata ad ammalati e infermi, impossibilitati ad assistere alla celebrazione in chiesa. La compagnia registrò nel corso dei tempi numerose personalità dell’aristocrazia pesarese e forestiera tra i suoi affiliati, tra cui si ricordano esponenti delle famiglie Bonamini, Santinelli, Almerici, fino al cardinal Giovan Francesco Albani, poi salito al soglio pontificio con il nome di Clemente XI e il conte Orazio di Carpegna, solo per citarne alcuni. A testimonianza del buon grado di inclusione sociale dell’istituzione è la presenza, riscontrabile nella lettura dei verbali di affiliazione, anche di individui di estrazione popolare ed esponenti delle corporazioni commerciali cittadine: sarti, linaioli, pittori, ortolani, fabbri. I momenti culminanti della vita associativa erano le occorrenze in occasione delle festività religiose e le processioni particolari; queste ultime vanno inquadrate come manifestazioni rituali scenografiche della massima importanza a cui partecipavano tutte le confraternite gerarchicamente disposte, ognuna ammantata con la propria cappa colorata, insieme al clero regolare, agli alti dignitari civili e al vescovo. La più importante ricorrenza fu quella per il Corpus Domini con utilizzo del baldacchino e dell’ostensorio, di cui si hanno notizie dalle fonti d’archivio sin dal 1576. Un’altra processione particolarmente significativa ai fini devozionali era quella del Venerdì Santo con tanto di parata per le strade di Pesaro del carro allegorico, un grandioso apparato scenografico chiamato “Macchina del Cristo Morto”, animato dalla presenza di personaggi in maschera e suono di musiche sacre. L’esistenza ancora oggi di questo edificio con affaccio su via Rossini, una delle strade più care ai pesaresi, seppur mutato nella sua configurazione funzionale, rimane non solamente una significativa testimonianza architettonica, storica e artistica del prezioso tessuto urbanistico della città documentato nelle vedute cartografiche di Pesaro del XVI e XVII secolo, ma anche esempio illustre di una lunga esperienza di impegno e di vita cristiana.