Tantissimi parrocchiani, numerosi sacerdoti della Diocesi e diverse autorità civili di Fano hanno preso parte alla solenne celebrazione Eucaristica in occasione della Dedicazione della nuova chiesa parrocchiale di Gimarra intitolata a Santa Maria del Carmine.
“Sono veramente grato per tutto questo”. Queste le brevi e commosse parole del parroco don Gianni Petroni, che hanno introdotto la solenne cerimonia liturgica.
A prendere la parole poi, il responsabile dei lavori di costruzione, l’architetto Baldini, che illustrando il lunghissimo percorso per l’edificazione della chiesa ha ringraziato tutti i collaboratori, i tecnici, le imprese, la comunità parrocchiale, il vescovo Armando e il Comune di Fano. Di seguito il vice Cancelliere diocesano ha letto il Decreto di edificazione della nuova chiesa, che su disposizione del Vescovo riceve la dignità di chiesa parrocchiale per tutta la comunità cristiana di Gimarra.
“Questa dimora – ha sottolineato il Vescovo riprendendo le parole di un Inno per la dedicazione di una Chiesa di Balai il Siro – non è una semplice casa, è il cielo sulla terra, perché essa contiene il Signore. Se lo vuoi scrutare, egli è tutto intero nell’alto dei cieli; ma se lo cerchi, è totalmente presente sulla terra. Se cerchi di afferrarlo, egli ti sfugge; ma se l’ami, è molto vicino a te. Se lo studi, egli è nel cielo: ma se credi in lui, egli è nel santuario. E perché resti con noi, uomini della terra, gli abbiamo costruito una casa; abbiamo innalzato un altare, la mensa dove la Chiesa mangia la vita”.
L’altare. Il Vescovo poi ha soffermato la sua riflessione sull’altare, figura di Cristo, Agnello immolato, vero altare del tempio di Dio, ma anche immagine dei cristiani, pietre vive che formano l’altare del Dio vivente, mensa del Signore. “Se l’altare è innanzitutto la mensa del Signore, la tavola del cenacolo e dell’albergo di Emmaus, è anche simbolo di Cristo. Per i cristiani non vi è che un solo altare, come non vi è che un solo tempio, il Cristo, allo stesso tempo vittima, sacerdote e altare del suo sacrificio. E’ quel Cristo medesimo che sembra doversi ravvisare nell’“altare d’oro posto davanti al trono” evocato dall’Apocalisse. Si comprende allora perché l’altare sia oggetto di tanti segni d’omaggio. Il sacerdote vi accede dopo essersi inchinato davanti ad esso e averlo baciato. Simbolo di Cristo, l’altare antico non tarda ad accogliere nel momento della sua dedicazione le reliquie dei martiri, associando al sacrificio di Cristo quello dei suoi testimoni. Perciò esso attinge il suo significato dall’Apocalisse, dove il veggente evoca l’altare sotto il quale vide “le anime di coloro che furono immolati a causa della Parola di Dio e della testimonianza che gli avevano resa”.
Fede e vita. “E’ importante andare in Chiesa – ha concluso il Vescovo soffermandosi sul fatto che non si possono separare fede e vita – ma per costruire la nostra fraternità, per imparare insieme ad essere più poveri, cioè più liberi dal nostro egoismo, più vicini agli altri, più solidali. L’andare in chiesa non deve avere nulla di magico o di superstizioso, non deve allontanare l’uomo dalla vita, deve fare proprio il contrario. I profeti, gli uomini più attenti alle esigenze della fede, hanno sempre ricordato che nel tempio abita un Dio interessato alla vita che si svolge fuori. Il dio pagano è interessato unicamente ai riti e alle offerte portate dai fedeli. Il nostro Dio no. Le domande che pone ai credenti riguardano sempre i fratelli. Egli non squalifica i gesti religiosi, ci invita piuttosto a coglierne il senso profondo. Più importante del luogo in cui ci incontriamo è l’ispirazione della nostra preghiera, è la capacità che essa ha di aprirci ai valori del Vangelo e di saldarsi con la vita degli uomini che vivono accanto a noi”.