
INTERVISTA AL DIRIGENTE DELL’UFFICIO SCOLASTICO PROVINCIALE MARCELLA TINAZZI
«Benedizioni a scuola? Sentenza di buon senso ma da noi si sono sempre fatte»
Le benedizioni a scuola, fuori dalle lezioni e facoltative, sono legittime. Lo ha stabilito il Consiglio di Stato, accogliendo il ricorso del ministero dell’Istruzione e ribaltando la decisione del Tar Emilia-Romagna che aveva annullato la delibera con cui un consiglio di istituto di Bologna le aveva autorizzate, nel 2015. La polemica sulle benedizioni, finita anche sul New York Times, nacque dal ricorso presentato da alcuni docenti e genitori dell’istituto comprensivo 20 di Bologna (elementari Carducci e Fortuzzi e medie Rolandino) e dal comitato “Scuola e costituzione” nel marzo 2015 in occasione della Santa Pasqua. In primo grado il tribunale amministrativo aveva accolto le loro ragioni, un anno fa, dicendo che la scuola non poteva essere coinvolta in un rito attinente unicamente alla sfera individuale di ciascuno. Per ulteriore e maggiore chiarezza circa il nostro territorio, abbiamo intervistato la Dr.ssa Marcella Tinazzi, dirigente dell’Ufficio Scolastico Provinciale di Pesaro e Urbino.
Dottoressa Tinazzi, lei che conosce molto bene la realtà delle scuole pesaresi, come crede che verrà accolta la sentenza del Consiglio di Stato?
Per la provincia di Pesaro e Urbino, tranne in un caso risalente ormai ad un paio d’anni fa, non ho mai avuto sentore che ci fossero tensioni in ordine all’argomento delle benedizioni pasquali. Tra l’altro, avendo diretto scuole per oltre vent’anni, posso aggiungere che non mi è mai capitato di avere lettere di nessun tipo in merito alla questione. In altre parole non esiste una storicità di contenzioso su questo argomento.
A suo avviso era necessario dover scomodare le aule giudiziarie per tali questioni?
È proprio questo il nocciolo della questione. Io non mi capacito della denuncia di quei pochi docenti e genitori di Bologna, contro una pratica religiosa fatta peraltro in orario extra-scolastico, quando avvengono molte cose. Io ho letto la sentenza e l’ho trovata molto equilibrata. Sono pienamente d’accordo nel dire che, visto che a scuola c’è spazio per molte attività, non si comprende perché questa prassi, che ha una tradizione nel nostro Paese, debba essere considerata in subordine e meno dignitosa rispetto ad altre pratiche extrascolastiche.
Ora quei genitori di Bologna hanno annunciato ricorso alla Corte Europea dei diritti umani.
Sono senza parole. Non vedo nessun motivo di offesa in una benedizione. La scuola è il luogo dell’accoglimento delle differenze, che siano culturali, religiose, etniche. È il luogo in cui c’è spazio per tutti perché la Costituzione afferma che la scuola è laica ma nulla vieta che avvengano momenti di questa portata. Penso alle feste di Natale, quante inutili polemiche! Mentre abbiamo accettato acriticamente tutto quanto ci proviene dal nord, dalla Scandinavia, importando simboli pagani come l’albero di Natale e tutto il resto. Francamente mi è sembrato tutto molto pretestuoso.
Forse si confonde la laicità con il laicismo?
Oppure con l’anticlericalismo. Qui mi pare che sia proprio questo. Ed anzi forse è il caso di chiarire anche altre questioni similari, visto che la scuola è laica ma rispetta tutti.
Ad esempio?
In nessuna scuola della nostra provincia è mai stato tolto un crocefisso. In alcune classi, se non c’è, è solo a causa della scarsità di fondi. A volte ho invitato i genitori interessati ad acquistare il crocefisso da appendere nell’aula dei figli.
Come vede la scuola di questo periodo?
Molto spesso la scuola radicalizza posizioni che non dovrebbero entrare in aula perché sono questioni esterne. Però vedo sempre più apertura degli insegnanti ad accogliere la diversità. Posso testimoniare che esiste un confronto appassionato ad esempio verso tradizioni religiose differenti da quelle cattoliche. Il Papa parla di dialogo tra le religioni ogni giorno. Abbiamo tanti casi di ragazzi non cattolici che chiedono di partecipare all’ora di religione. Studenti ebrei o musulmani la frequentano con il consenso delle loro famiglie. Così pure nell’ora di religione cattolica si studiano e si vanno a visitare luoghi di altre confessioni.
A livello pratico come si deve comportare un dirigente scolastico che riceve la richiesta per la benedizione da parte di un docente o una famiglia?
Ogni dirigente non amministra la scuola come fosse una sua proprietà. Ha organi collegiali a cui riferirsi, ha una comunità educante di contorno… Ma a fronte di una sentenza di questo genere che, francamente è più che ovvia, non esiste alcuna motivazione per la quale dire no. La sentenza lo riafferma chiaramente.
Occorre passare per il consiglio di istituto?
Assolutamente no. Basta il buon senso del dirigente. Forse il momento più opportuno può essere il pomeriggio, quando già a scuola si fa di tutto. Non si lede il diritto di nessuno; occorre solo trovare il momento e le persone giuste. La sentenza è molto chiara e sono molto contenta che sia stata diffusa perché oltretutto è ben scritta.
Che cosa ci insegna questa lezione?
È la sottolineatura di qualcosa di ovvio. Cioè che la scuola è un luogo di apertura alle differenze e al dialogo tra le persone. La differenza è un valore aggiunto. Ma non so se sia una lezione anche perché in alcune scuole della nostra provincia, in questo periodo, ci sono già state benedizioni e la cosa non ha suscitato né meraviglia né sconcerto.
A cura di Roberto Mazzoli
Le parole del Consiglio di Stato
Secondo i giudici del Consiglio di Stato il rito, per chi intende praticarlo, “ha senso in quanto celebrato in un luogo determinato, mentre non avrebbe senso (o, comunque, il medesimo senso) se celebrato altrove; e ciò spiega il motivo per cui possa chiedersi che esso si svolga nelle scuole, alla presenza di chi vi acconsente e fuori dall’orario scolastico, senza che ciò possa minimamente ledere, neppure indirettamente, il pensiero o il sentimento, religioso o no, di chiunque altro che, pur appartenente alla medesima comunità, non condivida quel medesimo pensiero e che dunque, non partecipando all’evento, non possa in alcun senso sentirsi leso da esso”. Inoltre “non può logicamente attribuirsi al rito delle benedizioni pasquali”, con i limiti stabiliti in questo caso,”un trattamento deteriore rispetto ad altre diverse attività parascolastiche non aventi alcun nesso con la religione”.
“C’è da chiedersi – prosegue la sentenza – come sia possibile che un (minimo) impiego di tempo sottratto alle ordinarie attività scolastiche sia del tutto legittimo o tollerabile se rivolto a consentire la partecipazione degli studenti” ad attività culturali, sportive o ricreative “mentre si trasformi, invece, in un non consentito dispendio di tempo se relativo ad un evento di natura religiosa, oltretutto rigorosamente al di fuori dell’orario scolastico”.
I giudici aggiungono quindi che “per un elementare principio di non discriminazione, non può attribuirsi alla natura religiosa di un’attività una valenza negativa tale da renderla vietata o intollerabile unicamente perché espressione di una fede religiosa, mentre, se non avesse tale carattere, sarebbe ritenuta ammissibile e legittima”. È la stessa Costituzione, nell’articolo 20, si ricorda, a porre “un divieto di trattamento deteriore, sotto ogni aspetto, delle manifestazioni religiose in quanto tali”.
1 commento
ALLELUJA!!! Per una volta il buon senso ha prevalso!!!