Non hanno avuto paura. Più forte della preoccupazione per tensioni internazionali e l’eco di attentati che hanno colpito anche Gerusalemme, è stata la “sete” di fede e di conoscenza per i 46 pellegrini di Pesaro che hanno deciso di trascorrere il Capodanno in Terra Santa, guidati da Don Marco Di Giorgio, per tutti “Digio”, parroco di San Luigi Gonzaga e per i 26 pellegrini di Jesi guidati da S.E. Mons Gerardo Rocconi con Don Giovanni Rossi e con l’esperto di Terra Santa Don Natale Albergucci, anche loro pellegrini dell’organizzazione del Latin Patriarchate Pilgrimages. Non solo visite ai luoghi delle sacre scritture ma anche incontri con i maggiori testimoni della complessa realtà esistente. Grazie all’organizzazione del Patriarcato dei Latini i pellegrini pesaresi hanno potuto incontrare il Vescovo Ausiliare di Gerusalemme e Vicario Patriarcale per Israele, S.E. Mons Giacinto Boulos Marcuzzo, l’Amministratore Apostolico del Patriarcato dei Latini di Gerusalemme S.E. Mons Pierbattista Pizzaballa e il nuovo Custode di Terra Santa Padre Francesco Patton, ofm. Particolarmente appassionata l’accoglienza di Padre Aktam, parroco di una parrocchia palestinese a Bet Jala e carico di emozioni il saluto estemporaneo di Padre Frederic Manns, studioso e per lunghi anni docente di Esegesi del Nuovo Testamento e letteratura giudaica antica.
QUI SONO I LUOGHI A PARLARE
Un numeroso gruppo di pellegrini determinati a seguire la storia umana e spirituale di Gesù in Terra Santa. Ciascuno con la propria sensibilità come metro di misura. Indietro nel tempo, nella storia e nella fede. Carichi di aspettative per lasciarsi poi stupire e sorprendere da sfumature che non si aspettano, dettagli ricchi di intensità che avvolgono e rapiscono lo spirito e la mente. E che forse ti cambiano. Da Betlemme a Nazareth, dalla basilica della Natività alla chiesa dell’Annunciazione, dalla Galilea alla Samaria fino alla Giudea, ai muri impressionanti della non-pace o al silenzio del Lago di Tiberiade, che lascia spazio solo alla contemplazione, ai pensieri cullati dallo sciabordio dell’acqua.
Dalla casa di Pietro a Cafarnao, dal monte Tabor al Mar Morto attraverso la valle del Giordano e il deserto di Giuda con l’incredibile e suggestivo monastero di St George in Koziba, incastonato come un prezioso rilievo nella roccia. Fino all’entrata in Gerusalemme, nella città Santa. Città complessa, intensa, città di contraddizioni, lacerata per secoli da conflitti armati, da divisioni e tensioni ma anche città di pace. Dove accanto ad ogni chiesa cristiana sorge una moschea con un minareto più alto dei campanili. Tanti i momenti di riflessione.
“Sono i luoghi a parlare – ha sottolineato Don Marco – Gerusalemme è il centro del mondo perché qui è nata la speranza più grande che il mondo conosca. La speranza di vivere per sempre. Tutti noi siamo nati qui, a Gerusalemme”. Culla di luoghi sacri e venerati da tre grandi fedi monoteistiche, custode di un altro Muro, quello del Pianto e del Santo Sepolcro, “cuore “ della nostra fede, dove regna lo “Status Quo”, intoccabile e immutabile, capace di scatenare tensioni, ma aperto ad ogni emozione e sorpresa, anche quella di un micio che è riuscito a salire le ripide scale del Calvario, forse a caccia di quei piccioni che sperimentano irrispettosi il volo tra le colonne dell’antica basilica e poi ritrovarsi, smarrito a miagolare sulla balaustra in alto, a pochi metri sopra la “pietra dell’unzione”. E il Santo Sepolcro, diviso in ogni millimetro di tempo e spazio tra le varie confessioni, si conferma sempre più simbolo degli equilibri esistenti.
I CRISTIANI POCHI MA FONDAMENTALI
In ogni luogo si vive un momento di umanità e di spiritualità che si misura continuamente con la realtà. Come nell’occasione della Messa accanto all’orto dei Getsemani, celebrata all’aperto da Don Marco Di Giorgio sotto uno stringato tendone, con la Gerusalemme antica come fondo scenico, popolata di rumori di strada e colpi di clacson. E aggredita da pioggia e freddo, dissolti all’improvviso da coraggiosi raggi di sole che a poco a poco hanno fatto brillare le foglie di ulivo attorno all’altare, trasformandole in una corona di luce e non di spine. Raggi coraggiosi come i pellegrini pesaresi che non si sono persi d’animo, coordinati dall’esperta Marina Venturini del Latin Patriarchate Pilgrimages. Capaci di sorprendersi all’accostamento tra la menorah e il volto umano: i sette bracci dell’antica lampada rappresentati da occhi, naso orecchie e bocca. Una similitudine pronta ad accendersi con un sorriso.
In realtà i pellegrinaggi dei cristiani italiani sono in calo. E per Monsignor Marcuzzo è cambiato anche il valore del pellegrinaggio stesso. E’ emersa la sensazione che accanto alla crisi economica si nasconda una crisi di fede. Ma per la Terra Santa i pellegrini non sono solo testimonianza di fede o portatori di pace, sono una risorsa, sia spirituale che economica. I cattolici rappresentano poco più del 2% della popolazione. Possono incidere poco o nulla. Non hanno alcun “peso contrattuale” negli equilibri socio-politico-religiosi. Ma è fondamentale la loro presenza. “Il nostro ruolo – ha spiegato S.E. Monsignor Pizzaballa, dell’Ordine dei Frati Minori; da 27 anni a Gerusalemme prima come Custode di Terra Santa poi come Amministratore Apostolico del Patriarcato dei Latini – è di esserci. Di essere qui ed esprimere il nostro stile. La presenza cristiana garantisce l’universalità. Tutto il mondo qui si sente a casa”.
DIALOGO INTERRELIGIOSO E DI PACE
Una presenza fondamentale in una realtà complessa, dove coesistono etnie diverse, dove si confrontano ebrei e musulmani e dove i francescani sono chiamati a svolgere una missione di preghiera ma anche di gestione. Sono 250 i seguaci di San Francesco in Terra Santa, di 40 nazionalità diverse. Custodiscono cinquanta santuari. E per loro il 2017 è un anno speciale: celebrano gli 800 anni della presenza francescana qui, da quando, nel 1217 partirono per la “Missione d’Oltremare” seguiti due anni dopo dallo stesso S. Francesco che rimase un anno in questi luoghi. Il nuovo custode di Terra Santa, Padre Francesco Patton, ha tracciato un quadro della situazione ai pellegrini pesaresi: “Oltre alla Custodia della maggior parte dei luoghi dell’incarnazione di Gesù – ha spiegato – dobbiamo preoccuparci anche delle ‘pietre vive’, cioè dei cattolici presenti nel territorio”. La Chiesa cerca di offrire lavoro, case e di mantenere un dialogo interreligioso e di pace attraverso le scuole. E proprio grazie alle scuole, riconosciute dalle autorità israeliane e palestinesi e frequentate da oltre diecimila studenti, si stanno superando diffidenze tra giovani cristiani e musulmani. “La capacità di dialogo – ha affermato Padre Patton – è sensibilmente differente tra chi proviene da questa esperienza insieme e chi invece vive in un ambiente monoculturale”.
Gli esempi vanno dal piccolo asilo aperto a Emmaus alla scuola di musica e di pace “Il Magnificat”, fondata da Padre Armando Pierucci che riunisce bambini israeliani e palestinesi. Un vero e proprio miracolo che si ripete ogni giorno. Fino all’università cristiana di Betlemme “dove cristiani e musulmani vanno a braccetto”. Una convivenza che evita possibili conflitti ma non cancella le identità di fede. “L’identità cristiana delle scuole – ha aggiunto Padre Patton – è tra le condizioni da accettare per frequentarle. La comunità cristiana è una presenza moderata e composta. Da parte nostra esiste un forte impegno ad un dialogo ecumenico. Non ci deve essere contrapposizione ma convinzione chiara della propria identità. E a volte manca questo. Le identità non si rispettano negandole, ma dando loro la possibilità di esprimersi”.
Emerge forte la convinzione che si può costruire: se il dialogo esiste e funziona, la coesistenza di più religioni nella stessa realtà può diventare un punto di forza per la pace. Altrimenti, si trasforma in un equilibrio instabile e conflittuale. La frammentazione delle spiritualità rischia di diventare una fucina di potenziali fanatismi invece di rappresentare molteplici voci di pace. E portatori di pace possono esserlo tutti . “Dovete esserlo anche voi – ha esclamato Padre Manns rivolgendosi ai 46 pellegrini pesaresi poco prima della tradizionale via Crucis nella via Dolorosa di Gerusalemme – La pace va ricercata ed edificata ogni giorno. Ma prima di tutto ciascuno deve avere la pace in sé. E la Chiesa non è fatta solo di preti. La Chiesa siete voi”. E a Gerusalemme non basta una sola visita. Shalom.