Ancora una volta la Cgil provinciale solleva il polverone sull’obiezione di coscienza alla legge 194/78 in tema di aborto volontario (vedi nota a lato). Lo fa attraverso la stampa locale con un comunicato apparso lo scorso 6 marzo. E ciò che più suona strano è che la polemica – ancora una volta – viene posta enfatizzando il conflitto tra i diritti delle persone: da un lato il diritto degli operatori sanitari a invocare l’obiezione di coscienza, dall’altro il diritto delle pazienti di accedere ad un servizio, nel caso specifico il servizio per l’interruzione volontaria della gravidanza.
UNICO OSPEDALE
Per quanto risulta, il servizio relativo alle interruzioni volontarie della gravidanza presso l’Ospedale di Fano non è mai stato interrotto e si è realizzato attraverso il ricorso al personale sanitario dell’Azienda Ospedali Riuniti Marche Nord (che – è bene ricordarlo – è nata dalla unificazione degli ospedali di Pesaro e Fano). Dunque – ahinoi – nessuna interruzione, ma diversa organizzazione della attività, tenuto conto del rispetto del diritto ad invocare l’obiezione di coscienza da parte del personale sanitario. Vogliamo sperare che non si voglia in alcun modo conculcare il diritto ad esprimere le proprie convinzioni, né – ad un tempo – di invocare per ciascuno il primato della propria coscienza.
Ma lo stupore per la reiterazione della polemica (cui la Cgil non è nuova), è legata al fatto che nemmeno una parola viene invece spesa per sostenere la necessità di implementare i servizi per garantire alle donne il diritto di poter scegliere davvero se proseguire o no la propria gravidanza: come mai non ci si chiede quali e quante risorse sono state investite per mettere la donna in condizioni di non dover abortire?
I CONSULTORI
L’art. 5 della legge 194/78 recita infatti testualmente: “Il consultorio e la struttura socio-sanitaria, … hanno il compito in ogni caso, e specialmente quando la richiesta di interruzione della gravidanza sia motivata dall’incidenza delle condizioni economiche, o sociali, o familiari sulla salute della gestante, di esaminare con la donna e con il padre del concepito, ove la donna lo consenta … le possibili soluzioni dei problemi proposti, di aiutarla a rimuovere le cause che la porterebbero alla interruzione della gravidanza, di metterla in grado di far valere i suoi diritti di lavoratrice e di madre, di promuovere ogni opportuno intervento atto a sostenere la donna, offrendole tutti gli aiuti necessari sia durante la gravidanza sia dopo il parto”.
Quali aiuti economici – specie in questo tempo di crisi – vengono offerti concretamente alle donne affinché possa davvero essere libera di scegliere se proseguire la gravidanza o rinunciare al bambino che porta in grembo?
QUALI INIZIATIVE DEL SINDACATO?
Dato che la polemica è “promossa” da una grande forza sindacale, ci dobbiamo domandare: quali iniziative ha intrapreso il sindacato per impedire che imprenditori e datori di lavoro “censurino” la proprie dipendenti dall’intraprendere una gravidanza?
Ben triste che proprio in vista dell’8 marzo non si abbiano altri argomenti per promuovere la dignità e la salute della donna! In coda all’articolo, poi, ci si stupisce per il ridottissimo uso della pillola RU486: nel 2011 nessun ricorso a tale metodica per abortire.
È evidente che le donne marchigiane, pur avendola a disposizione negli ospedali pubblici della Regione, hanno preferito ricorrere alla tradizionale tecnica chirurgica che, evidentemente, ritengono di maggior garanzia, almeno sotto il profilo della salute. E questo sarebbe un male? O forse dobbiamo convincerci per forza che “pillola è bello”?
Paolo Marchionni – Emanuela Lulli
Associazione Scienza&Vita di Pesaro, Fano e Urbino