Perché ricordare ogni anno il malato? Credo che una delle riposte più plausibili sia quella di rinnovare ogni anno la proposta di un cambiamento radicale del paradigma classico della malattia, passando da una visione unidirezionale e ultra specialistica verso la malattia ad uno sguardo più ampio verso il malato, in quanto non tutte le malattie si possono guarire, ma ogni persona può essere curata. Cosa vuol dire dunque curare? Certo non solo utilizzare farmaci per combattere una sintomatologia specifica, ma curare vuol dire prendersi cura, farsi carico della persona e della famiglia, valutando in maniera totale ogni aspetto, fisico e spirituale, e questo deve certamente essere fatto in ambiente sanitario, ma sicuramente può essere fatto anche nelle parrocchie. Papa Francesco spesso ci ha ricordato, che le parrocchie sono ospedali da campo dove, io credo che i medici siano i presbiteri, curano infatti le anime, e gli infermieri siano i diaconi, che con la loro specifica vocazione al servizio, si fanno sentinelle sempre attente nel rilevare le varie fragilità di una società sempre più bisognosa, e nel proporre soluzioni che mettono sempre la persona la centro, e vedono nella presa in carico del singolo e della famiglia l’inizio di un percorso di cura.
Il commento teologico proposto per la “Giornata del malato” 2023 spiega bene come divenire comunità sanante. Nel Vangelo proposto (la guarigione del paralitico) emerge la grande novità di Gesù, e cioè raggiungere la persona integralmente, nella sua dimensione spirituale e fisica; Gesù tocca lo spirito e la carne, sanando tutto l’uomo. Ma ciò che è interessante notare è la fede della comunità radunata intorno al malato. La scena sottolinea le difficoltà incontrate, per giungere dinnanzi a Gesù e presentargli l’ammalato. Il gesto degli accompagnatori è però assai determinato, è come una preghiera silenziosa che manifesta una profonda fiducia nella possibilità di Gesù di risanare il loro amico. La malattia troppo spesso cambia la visione del mondo, la trasforma, definendo l’orizzonte e l’identità della persona che non si percepisce più come libera, perché ormai è “malata”. E anche in chi sta intorno nasce una improvvisa distanza, perché sei in una condizione diversa, che fa paura. Al centro viene messo il dolore di non avere più libertà e speranza di fare ciò che si vuole. Ma Gesù vive in mezzo all’umanità per cambiare lo sguardo di ognuno, su se stesso, sugli altri, sul mondo.