La volpara. In quindici minuti ci si arriva comodamente, superato il monticello. Sole estivo, cancello aperto, trovo subito il contadino che sale dal fosso. Sapeva che quasi sono un cliente e a qualche mia domanda risponde con dovizia di particolari. Non c’è più il cane, la grande sua compagnia. La narrazione è diversa da quella dei cacciatori. Si concentra sulla sua fedeltà come quella di Argo per Ulisse; racconta subito che la povera bestia è stata vittima del Covid e non c’è stato nulla da fare nonostante i dottori. Era bravo anche a combattere le talpe che aravano l’orto. L’anno scorso le gagge, (gazze per Rossini), avevano sterminato l’uva. Quest’anno il contadino ha tirato fuori lo schioppo, ma non ha mai sparato. Un’annata di frutti molto felice: ciliegie, susine e mele. Per la stagione strana e la carenza d’acqua niente pomodori. Mi racconta anche che il poderetto era proprietà di un prete e due sorelle, fino alla storia di oggi.
Teatro. “Or qui fermatevi, o Carlo, in questo bastione e ditemi un poco che cosa vi persuade la mente essere lá dentro a quella isolata accuminata casipola. Sebbene per risparmiarvi qualche sproposito vi dirò che da principio v’erano le stallacce, le quali del 1592 da Francesco Maria II furono convertite in rimessa Ducale, ed al 1725 l’Accademia degli Acerbi, fattovi un sterro di due o più uomini ridurre fé in Teatro dall’ Abbati, il primo fra gli scolari del Biena, ma tosto infragidí.” Così Giuseppe Raffaelli raccontava, nel 1800, in brevi cenni, a suo nipote, la storia del teatro di Urbania, precisando la data della presenza dell’Accademia degli Acerbi, e l’intervento dell’ultimo duca. Il teatro Bramante dovrà essere messo a norma, e resterà chiuso per vari mesi per cui saranno sospese le attività.