Dal 2 al 5 aprile siamo stati a Gerusalemme e Betlemme. Eravamo solo in quattro: Marina Venturini, da tempo impegnata nella pastorale dei pellegrinaggi, don Samuele di Casale Monferrato, parroco e guida di Terrasanta, don Saverio di Roma, ormai in pensione, ma già missionario in Brasile e io. Una piccola “delegazione”, come ci ha definito il cardinale Pizzaballa, che ha voluto esprimere vicinanza e solidarietà alla comunità cristiana della terra di Gesù, fortemente provata dalla guerra in corso, con relativa assenza totale di pellegrini.
Alla partenza molti ci hanno dato dei “matti”, che andavano a rischiare la pelle! In realtà a Gerusalemme e Betlemme, ma anche negli altri luoghi santi, non si corre alcun pericolo. Anzi, non ci si accorgerebbe neppure di una guerra in corso, se non per la desolazione e il vuoto che regna nelle basiliche e nei negozi, chiusi, attorno ad esse. Per il resto la vita a Gerusalemme, scorre assolutamente normale: traffico, gente che va e viene e tutto il resto.
A Betlemme invece, siamo in Palestina al di là del muro, lo spettacolo è veramente triste: tutto sprangato, pochissima gente in giro, insomma aria di morte… La cosa più bella sono stati gli incontri vissuti con molta gioia, nostra e loro: con il patriarca di Gerusalemme dei Latini, il Cardinale Pierbattista Pizzaballa, con il Custode di Terrasanta, padre Francesco Patton e il suo Vicario, padre Ibrahim Faltas, con il Nunzio, cioè il rappresentante del Papa in Israele e Palestina, Monsignor Adolfo Tito Yllana, filippino e anche con padre Alberto Pari, direttore della scuola di musica “Magnificat Institute” di Gerusalemme. Nelle loro parole, la fatica di affrontare un momento così complicato per le comunità cristiane. Tanti palestinesi cristiani vogliono emigrare e lasciare la terra. La Custodia ha 3.500 dipendenti, tra scuola, ospedali e altre istituzioni, oltre alle basiliche, da pagare tutti i mesi. Insomma i problemi sono molti. Ma c’è anche tanta speranza: la celebrazione della Pasqua nei luoghi dove tutto è accaduto, tiene viva la certezza che il Signore risorto non abbandona il suo popolo e la sua terra.
Tutti però ci hanno detto che hanno bisogno di noi: della nostra preghiera in primis, del nostro aiuto concreto (intanto gli abbiamo portato più di 15.000 euro raccolti qui da persone generose, molti ex pellegrini soprattutto, che loro ringraziano di cuore) e soprattutto ci chiedono che la gente ci torni. Appena sarà possibile, sperando in un cessate il fuoco, vorremmo organizzare piccoli gruppi che testimonino loro che non sono soli e che la Chiesa del mondo gli è vicina. Come ci ha ricordato il Custode, i pellegrini devono cambiare ottica: non si deve andare in Terrasanta solo per ricevere la grazia e la luce di quei luoghi, ma anche per dare forza e speranza alla comunità locale che ne ha molto bisogno. Quindi, come dicono gli ebrei alla fine della celebrazione della loro Pasqua: ”Il prossimo anno a Gerusalemme!”.