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      Home » “Non mi sento abbandonata”. Lettera al Nuovo Amico della mamma di Sofia Fraternale la 16enne di Pesaro morta il 18 luglio scorso
      Pesaro

      “Non mi sento abbandonata”. Lettera al Nuovo Amico della mamma di Sofia Fraternale la 16enne di Pesaro morta il 18 luglio scorso

      LUCIA CANTARINIDi LUCIA CANTARINI31 Luglio 2023Nessun commento10 minuti di lettura
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      Sono Lucia Cantarini, mamma di Sofia Fraternale, morta a causa di una malattia incurabile il 18 luglio 2023 a 16 anni. Due giorni prima del suo quindicesimo compleanno, a seguito di disturbi motori e visivi importanti, le hanno diagnosticato con una risonanza magnetica un tumore a livello cerebrale, definito da me “mostro”. Dopo un primo ricovero di tre giorni presso la neurologia dell’Ospedale a Pesaro, siamo state catapultate subito al Gaslini di Genova per essere studiata e poi eventualmente intervenire. All’inizio per me il buio totale, la disperazione, proprio a me, a noi, alla nostra famiglia. Poi una forza inspiegabile, che mi ha guidato lungo tutta la strada della malattia, tanti episodi, momenti, incontri che mi hanno portato fino alla fine con una letizia pazzesca. Ho cominciato a gridare e a chiedere il Suo aiuto: “Dammi la tua mano, Ehi Amico mio, ora mi accompagni in questa battaglia perché io da sola non ce la posso fare”. E allora non più da sola, ma con un popolo che ha sempre pregato per Sofia, chiamate e videochiamate che ci hanno fatto una grande compagnia lungo questa strada. Tanti momenti straordinari. La cosa più sorprendente è stato il giorno del suo compleanno. Da qui l’inizio del vero affidamento. Sofy non ha potuto festeggiare perché ricoverata in ospedale a Fano, il giorno dopo Mara, una mia amica, la sua madrina di cresima, organizza un momento di saluto a casa nostra prima di partire per Genova e io chiamo Don Peppe Gaudenzi chiedendo una preghiera per Sofia e ho detto: “Peppe, un po’ esagero, ma posso chiedere la Benedizione degli ammalati, l’unzione degli infermi?” e lui mi risponde che è la cosa più bella che una mamma possa chiedere per la propria figlia. Io non so come descrivere quel pomeriggio ma è stata una cosa straordinaria, ho sentito viva la presenza di Gesù in mezzo a noi, a tanti ragazzi e famiglie che sono venuti a salutarci fino a tarda serata.

      A Genova, a 500 km di distanza, sola lei ed io, lontana dalla mia famiglia, da tutto il mondo, non conoscevo nessuno, non conoscevo l’ospedale, ma non più sola, una Presenza forte ci ha sempre guidato. Mi dicevo sempre: “Non posso permettermi di farmi schiacciare dal mostro, non gli autorizzo di farmi portare via l’anima, perché anche se non so come andrà, io voglio vivere con Sofia ogni giorno, con una profondità, con una umanità, con una certezza che mi riempie il cuore. Non voglio vivere sospesa nella rabbia, voglio vivere con te Gesù, che tutto puoi. Sia fatta la Tua volontà come in cielo così in terra.” Nella drammaticità del momento ho sempre vissuto con una letizia profonda. All’inizio di questa storia mi è arrivato un messaggio: “Usciremo presto da questo incubo”, e io ho risposto: “Se dovessi risvegliarmi da questo incubo, non cancellerei proprio tutto. Vorrei conservare la bellezza del rapporto con Sofia mai vissuto così, eravamo sempre in lotta continua e il calore di tutte le persone che ci stavano vicino. Una cosa straordinaria. Tanti episodi ci hanno accompagnato in questo cammino.

      Dall’incontro con Betta, l’infermiera di Genova del reparto dove Sofy sarebbe stata presa in cura, un angelo che ci ha preso per mano, all’incontro con Alessandra e Marco di Fontana Vivace, la famiglia che ci ha ospitato per circa un mese e mezzo per poter continuare la chemioterapia e la radioterapia non da ricoverata. Un’esperienza straordinaria in questa casa famiglia: “Mamma per me qui è famiglia, è come stare con la nostra Fraternità”. Vivere in questo posto per noi è stato come il Paradiso, Sofy si è sentita, sin dal primo giorno, accolta come tutti i ragazzi che abitano lì, una casa di accoglienza dove vivono ragazzini affidati e adottati. Qui abbiamo fatto esperienza di accoglienza totale. Sofy giocava con tutti i ragazzini quando non faceva le cure, guardava la tele, studiava, cucinava con Ale e Marco, si sentiva come a casa. Si è creato, dal primo giorno, un rapporto di fiducia unico con l’equipe del Gaslini che ha seguito Sofy.  Un affidarsi totalmente alla loro professionalità e una libertà nella condivisione di tutti i passi anche con Sofy. Lei era sempre partecipe a tutte le decisioni che venivano prese. La scuola in ospedale. Sofy ha potuto completare il primo anno del liceo grazie alla presenza costante e continua di professori volontari che venivano tutti i giorni in stanza per svolgere il programma scolastico in condivisione con “La nuova scuola” liceo scientifico paritario della nostra città. Un impegno costante e preciso da parte di Sofy, una voglia di fare sempre tutto al meglio. E poi la voglia di tornare a casa, di abbracciare il papà, il fratello, il cugino che ha vissuto con noi due anni, tutti i suoi amici della classe, le sue amiche, gli amici dell’oratorio, di GS, gli scout, i nostri amici di famiglia e i parenti. Una vita piena. La gita con la scuola di fine anno alle Cinque Terre, la vacanza in montagna a 3000 metri con il movimento di CL di cui facciamo parte, il precampo con gli scout e l’uscita con loro al Monte Nerone, l’oratorio vissuto come animatrice per due mesi tutti i giorni, le uscite con gli amici per prendere un gelato o mangiare una piada o il Sushi, il mare, lo shopping, sempre con la voglia di vivere e di stare in mezzo alla gente nonostante la sua condizione fisica, costretta sin da subito a stare in carrozzina, con un corpo martoriato dalle cure. “Mamma non devo nascondermi da nessuno, sono bella così”. Poi la ripresa della scuola, il secondo liceo scientifico in presenza a scuola partecipando con molta attenzione e studio a tutte le lezioni della giornata. Tutto bene fino a gennaio quando, ad un controllo con la risonanza, ci comunicano che il mostro stava riprendendo campo e ci sarebbe stato bisogno di un nuovo attacco con la chemioterapia e la radioterapia. Si ricomincia da zero.

      Sofy in questo lungo cammino non ha mai perso la speranza, ha sempre lottato con la voglia di poter tornare a camminare con le sue gambe, con la voglia di correre, di ballare come sapeva fare, con la voglia di stare con i suoi amici. Ogni tanto mi diceva: “Mamma non lamentarti” oppure “Non c’è tempo di dormire”. Il suo motto era “Essere felice”, vivere intensamente ogni attimo della giornata e desiderare di fare cose nuove ogni giorno. Era un vulcano di idee. Dalla voglia di cucinare ogni giorno, alle passeggiate in centro con me o con le amiche, alle cene in casa, agli incontri in oratorio o con gli amici di GS e con gli Scout. Lei ha sempre trascinato tutti noi con un sorriso, con una determinazione che a me spiazzava. Mai un lamento fino agli ultimi giorni della sua vita. Forte anche quando non riusciva più a parlare e non vedeva più. Aveva tutto il diritto di essere arrabbiata con la vita, ma lei non lo ha fatto, perché lei la vita la amava. Sempre con una parola dolce o un’attenzione verso tutti. Per lei l’appuntamento con Gesù era importante. A Genova ogni giorno andavamo nella chiesa del Bambin Gesù dentro l’ospedale, anche solo per una preghiera o la S. Messa domenicale. Qui a Pesaro la domenica aveva l’appuntamento fisso in Chiesa da Don Peppe Fabbrini, al quale non poteva mancare. Si metteva dalla parte del coro perché lei voleva cantare e stare con i suoi amici dell’oratorio. Quando non era stato più possibile portarla in chiesa, perché le condizioni fisiche non lo permettevano, lei seguiva sempre la S. Messa da casa in live distesa sul divano. Per lei era un momento molto importante grazie al quale coinvolgeva sempre la presenza di tutta la nostra famiglia, fino agli ultimi giorni in cui venivano anche gli amici.

      La Messa di Pentecoste in giardino a casa dove ha partecipato un popolo di amici, l’invito a pranzo a casa nostra dell’arcivescovo don Sandro. All’inizio del mese di giugno le sue condizioni stavano cambiando, non riusciva più a mantenere una posizione retta con la schiena, non vedeva più bene, dormiva molto, non mangiava più tanto. In accordo con l’equipe del Gaslini io e mio marito abbiamo preso la decisione di sospendere le cure chemioterapiche e di accompagnare Sofy nella fase terminale qui a casa, seguiti a domicilio dalla Dott.ssa Severini Germana e dagli infermieri dell’ANT e dalla Dott.ssa Cadegiani Daniela Medico di famiglia in collaborazione con l’equipe di Genova.

      Sofy nell’ultimo mese si è lasciata guidare con una docilità disarmante, una tenerezza infinita e lei donava a noi un amore unico e incondizionato. Da quando abbiamo preso questa decisione, un popolo di amici si sono stretti a noi. Un porto di mare. Ogni giorno, mattino e pomeriggio, la nostra casa è stata visitata da tantissime persone, chi per un aiuto concreto nella gestione della casa, chi per farci compagnia per un caffè o un pranzo o una cena, un momento di preghiera. Tutto il gruppo degli infermieri del reparto ospedaliero che coordino hanno cominciato a fare i turni per aiutare me nell’assistenza, prima solo di mattina poi nell’ultima settimana, con l’aggravarsi delle sue condizioni, anche di notte. Nel dramma abbiamo vissuto un’esperienza meravigliosa, guidati istante per istante da una forza che non può essere definita umana. Tutte le sue amiche ogni giorno venivano a tenerle compagnia, ridendo e scherzando fin quando è riuscita, oppure per stringerle la mano negli ultimi giorni. Un amore che passa attraverso un’amicizia concreta. L’amore tenero del fratello, un anno più piccolo di lei, che continuava a scherzarci o a farle i dispetti come faceva sempre, ad ascoltare con lei la musica o guardare la tele o a darle da mangiare o bere quando non riusciva più da sola. Tante persone che passavano qui a casa mi dicevano: “Io vengo per me, perché qui, stando davanti a lei, io riesco ad essere più me stessa”. La casa era diventata un Santuario.

      Nel dramma lei ci ha donato tantissimo, ci siamo accorti nel tempo che era lei che stava guidando tutti noi. La strada è iniziata da quando lei si è sentita totalmente accolta da me perché il mio sguardo nei suoi confronti è cambiato. Non più guardata con il pregiudizio della ragazzina ribelle, ma accolta con un amore e tenerezza unici, smisurati, con lo stesso sguardo con cui il papà l’ha sempre abbracciata.  All’inizio di questa strada lei si è affidata totalmente alla nostra presenza, bastava uno sguardo certo o una parola, un dialogo, che lei seguiva. Durante il cammino invece ci siamo resi conto che era lei che ci donava continuamente la forza, la voglia di non mollare, la speranza. Ora mi manca la presenza carnale, il non poterla stringere, accarezzare, coccolare, scherzare, cantare, chiacchierare. Rimarrà in me un vuoto per la perdita di una figlia, il dolore più grande per una mamma, un papà ed un fratello ma non potrò mai cancellare la pienezza di aver vissuto fino in fondo, istante per istante, lungo questo cammino, con una profondità con la quale non avevo mai vissuto prima. Una vita nuova in cui posso dire che mi sento viva grazie a lei, stando vicino a lei, respirando il suo modo di stare davanti alla vita fino all’ultimo istante. Ciò che ho vissuto durante la malattia mi permette di vivere con una speranza certa, ora che il vuoto non sarà la mia fine ma l’inizio di una vita nuova. Ho voluto festeggiare il saluto finale su questa terra e un arrivederci alla Vita eterna, per la certezza che ora lei è tra le braccia di Colui che mi ha permesso di vivere così profondamente questa battaglia, rigenerandomi, facendomi vivere ogni giorno intensamente senza mai mollarmi la mano, Lui che mi vuole bene.

       

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