Se una rondine non fa primavera, le giornate del Fai provvedono con eccellenti risultati. Se poi il clima è favorevole come lo è stato lo scorso finesettimana, ecco che tanti luoghi possono venire scoperti e riprendere vita, stupendo centinaia di visitatori. È stato così anche a Urbino, dove il Fai ha realizzato quattro itinerari dedicati agli edifici progettati da Giancarlo De Carlo, ma anche a Canavaccio, dove ben tre luoghi erano aperti, accomunati dall’essere luoghi di fede.
Pietre. Parliamo infatti di tre antiche chiese: la cappella Cossi, la pieve di Santo Stefano di Gaifa e la chiesa di San Cristoforo dei Valli. Tre vetusti templi che già all’esterno rivelano, nelle semplici pietre squadrate con cui sono stati realizzati, i secoli di storia. La cappellina Cossi, detta anche chiesina dei Castagni, era chiusa da tanti anni. I proprietari l’hanno aperta e hanno accolto i curiosi spiegando che le origini sono datate al 1763, quando i conti Mauruzi della Stacciola la eressero come cappella della loro villa di campagna, di cui oggi è l’unica testimonianza. È dedicata a San Nicola da Tolentino. Passata poi ai Gherardi, fu dunque acquistata dai Cossi e fu sede di numerosi matrimoni dei membri della famiglia.
Gaifa. Con questo toponimo di origine longobarda che significa ‘terra comune tra due proprietà’, si indicava nei secoli passati in primis il castello, oggi non più esistente, e poi un’abbazia sita all’incirca nei pressi della attuale chiesa. Santo Stefano aveva alle sue dipendenze cinque parrocchie, ed era un importante riferimento in secoli in cui Canavaccio non esisteva. L’interno è di fine Seicento/inizi Settecento, e presenta diversi quadri (tra cui una copia baroccesca del crocifisso dell’oratorio della morte) e due acquasantiere fatte utilizzando capitelli antichi, che suggeriscono l’origine romana del luogo. Ciò che spicca di più è però il maestoso altar maggiore, costituito di pregevoli marmi e realizzato ad inizio Ottocento, con sei colossali candelieri a sormontarlo, che conferisce alla chiesa l’aspetto di un luogo di culto cittadino anziché campagnolo.
Cristoforo. Proseguendo verso Calmazzo e deviando verso la Cesana, si arriva a San Cristoforo dei Valli, una chiesa rurale raramente officiata ma complessivamente ben mantenuta grazie all’operosità di alcune famiglie residenti nella zona, tra cui i Battistelli, con il signor Adolfo che ci racconta di quando saliva sul tetto per suonare le campane a martello. L’edificio attuale è il risultato di una riedificazione di fine Ottocento, terminata nel 1905, ma una pietra all’esterno con data 1601 è la testimonianza delle antiche origini. Rispetto a una qualsiasi parrocchia di campagna, San Cristoforo si segnala per diversi dettagli: la presenza di transetto e di una cupola con lanterna centrale, due lampadari di cristallo non tipicamente da chiesa, alcuni bei quadri alle pareti. Spicca in particolare il Beato Felice da Cantalice di Giovan Francesco Guerrieri, davvero delicato. Da una porta esterna si può scendere alla piccola e antica cripta, un suggestivo locale superstite della primigenia chiesa.