URBINO – “L’economia moderna è basata sull’assunto hobbesiano dell’homo homini lupus; i lupi affamati pensano solo a sbranare gli altri. Questa concezione dell’economia risale solo a due o tre secoli fa.” Con queste parole il Prof. Stefano Zamagni ha iniziato la sua relazione sul tema “Economia e misericordia”. L’incontro si è tenuto giovedì 28 aprile presso la Chiesa di San Domenico organizzato dalla nostra Arcidiocesi per il Giubileo della Misericordia. L’arcivescovo mons. Giovanni Tani, presentando il relatore, ha ricordato che anche nel Vecchio Testamento i giubilei avevano risvolti economici con il condono dei debiti e la libertà per gli schiavi. Il professore ha ricordato che prima dell’utilitarismo settecentesco l’economia era considerata la scienza della misericordia. I francescani all’epoca dell’umanesimo danno vita all’economia di mercato e l’economista laico Shumpeter, li considerava i più grandi economisti prima di Adam Smith: essi hanno dato origine a molte opere per combattere la fame, l’usura e la schiavitù. Il passaggio fra l’economia civile e quella capitalistica, in cui il fine è il solo profitto e non anche il bene comune, avviene con la riforma protestante nella sua versione calvinista.
Papa Francesco – ha continuato Zamagni – ci invita a ripensare il fondamento dell’azione economica perché la recente crisi ha dimostrato che un economia e una finanza costruite su esso provocano crisi ripetute e povertà per molte fasce della popolazione. Non si può fare i filantropi dopo aver sfruttato gli altri, inoltre l’elemosina aiuta a sopravvivere ma la persona ha bisogno di vivere e vivere è produrre, creare.
Oggi – ha continuato il professore – ci sono molti nodi di natura economica che chiamano in causa la misericordia. Le diseguaglianze nel mondo continuano ad aumentare e la distanza fra i gruppi sociali ad ingrandirsi: aumenta la ricchezza globale ma si concentra in poche mani. In Italia abbiamo tre milioni di poveri assoluti e accanto a persone che muoiono di fame esiste uno spreco di tonnellate di cibo in tanti settori dell’alimentazione. Cresce il divario fra lavoratori creativi e routinari quelli che resteranno ai più bassi livelli dell’organizzazione del lavoro, anche se hanno conseguito una laurea in prestigiose università con uno spreco importante del nostro capitale umano. Una ultima questione riguarda i beni comuni come l’acqua e l’ambiente che non possiamo continuare a danneggiare senza rischi per le generazioni future, tanto che il Papa ha scritto una enciclica. Oggi abbiamo conoscenze sufficienti per passare gradualmente da una oil economy ad una green economy.
L’avvento della globalizzazione ha messo la politica al servizio dell’economia, mentre precedentemente era la politica che dettava i fini comuni da raggiungere. Oggi la finanza internazionale può mettere in crisi una nazione anche economicamente avanzata. Dobbiamo cambiare l’assunto antropologico di Hobbes se vogliamo vivere in un mondo migliore e con uno sviluppo sostenibile per i nostri giovani con l’assunto di Antonio Genovesi, economista partenopeo del settecento: Homo homini natura amicus.
Alfredo Sparaventi