TRENTUNO PELLEGRINI RISPONDONO ALL’APPELLO DALLA TERRASANTA
Come cercatori tra le pietre parlanti
“La Terrasanta ha bisogno di voi pellegrini. Quando tornerete a casa, portate la vostra testimonianza. Per i fratelli cristiani di quaggiù è importante”. E’ una richiesta corale, un unanime comune denominatore che emerge dalla fitta rete di incontri tessuta dai 31 pellegrini di Pesaro che, guidati da don Marco Di Giorgio – parroco di S. Luigi Gonzaga e direttore della Caritas diocesana – hanno vissuto lo spirito del Natale là dove tutto ebbe inizio. Betlemme, Nazareth, Tiberiade, Gerico, Gerusalemme, “Emmaus”. Dal 26 dicembre al 2 gennaio il pellegrinaggio “Sul cammino della Misericordia”, organizzato dal Latin Patriarchate Pilgrimages, attraverso Marina Venturini, ha toccato i luoghi più significativi della parabola di Gesù, dalla sua nascita, alla sua morte e resurrezione. Dalla Grotta della Natività al Santo Sepolcro, passando per la Galilea dell’Annunciazione e predicazione, la storia si intreccia con la fede, il passato si amalgama al presente, in una realtà complessa, stratificata e contraddittoria dove spiritualità e tensioni geo-politiche, speranza e sofferenza, si fondono. I cristiani d’Israele si ritrovano ad essere una sparuta minoranza (appena il 2 per cento) stretta in una tenaglia di attriti antichi e di difficoltose convivenze.
Cosa significa oggi la Terrasanta, come si vive oggi da cristiani in Terrasanta, provano a spiegarlo i protagonisti degli incontri che si sono succeduti, paralleli e complementari alle visite ai luoghi sacri. Perché se in Terrasanta le pietre parlano, raccontando un cammino millenario di fede e ricerca (e una “chicca” preziosa è stata anche l’eccezionale visita agli scavi non ancora ufficialmente aperti al pubblico di Magdala, città di origine di Maria Maddalena), è anche vero che sono poi le persone, che tra quelle pietre vivono, a fornire la miglior chiave interpretativa del presente. Nella Palestina lacerata e tormentata è toccato a padre Aktham, parroco di “trincea” della parrocchia di Beit Jala, sobborgo di Betlemme o, ancora, a padre Mario, parroco di Gerico, il cui presepe ha ricevuto l’omaggio di tutti i responsabili della comunità mussulmana, e anche a suor Maria, dell’orfanotrofio la Crèche, curato dalle suore della Congregazione Figlie della Carità di San Vincenzo De Paoli. A Nazareth il confronto si è avuto con monsignor Giacinto Marcuzzo, vescovo e vicario del Patriarcato Latino per Israele, infine a Gerusalemme, la Città Santa per eccellenza, ugualmente sacra per cristiani, ebrei e islamici, rappresentanti delle tre grandi religioni monoteistiche, l’incontro è stato con il padre francescano Pierbattista Pizzaballa, Ofm Custode di Terra Santa. Momenti fondati sull’accoglienza. Mani tese e braccia aperte perché, appunto, se il pellegrino ha bisogno della Terrasanta, anche la Terrasanta ha bisogno del pellegrino. Soprattutto in questo momento storico dove la paura sembra prevalere su tutto e tutto travolgere, e nonostante che l’ansia, alla fine, si riveli tale più per chi resta a casa che per chi va. Ma i conti con tali timori vecchi e nuovi, vanno fatti e introdotti nel computo di arrivi e presenze: nel logorante conflitto israelo-palestinese si è inserita negli ultimi tempi la minaccia globale e strisciante del terrorismo ben più radicale dell’Isis, portando inevitabili contraccolpi nel settore del turismo religioso da cui trae lavoro soprattutto la piccola comunità cristiana fatta, oltre che di religiosi, di artigiani, commercianti e guide. I pellegrini sono diminuiti ed è venuta a mancare soprattutto la presenza italiana. Da qui l’appello a non lasciare soli i cristiani di Israele che da tempo hanno gettato le basi di un dialogo interreligioso ed ecumenico, anche per tentare di superare la parcellizzazione tra cattolici, ortodossi, armeni e copti. “Una parcellizzazione – come sottolinea padre Pizzaballa – che non ha più senso. Dobbiamo parlare di cristiani ai cristiani”. Non è semplice la Terrasanta con i suoi precari equilibri, le sue contraddizioni, i suoi riti arcaici difficili da comprendere agli occhi smaliziati dell’Occidente, tanto che il pellegrino che vi giunge per la prima volta, con l’animo permeabile ma ignaro, si sentirà più volte ripetere il “ritornello” che “occorre venirci almeno tre volte” prima di riuscire ad afferrare la pienezza di un affresco grandioso quanto complesso. Come può esserlo il cuore dell’uomo. Sicuramente non si resta indifferenti. Non si può rimanere indifferenti quanto si intraprende un cammino sorprendente dove ci si ritrova immersi in una vocazionale spiritualità che è negli uomini, nelle cose e nella natura stessa, dalla lussureggiante Galilea che trasuda fertilità e speranza, all’arido deserto di Giuda dove nella mistica del silenzio puoi avvertire il respiro di Dio. Un cammino che è non solo per il credente, ma per tutti i cercatori.
Simonetta Marfoglia