La Festa del Santo Patrono Terenzio ha richiamato come sempre – oltre a numerose autorità civili e militari – una folla grandissima e devota di pesaresi, che hanno partecipato alla tradizionale processione per le vie del centro e alla solenne concelebrazione eucaristica presieduta dall’Arcivescovo Piero Coccia in Cattedrale, dove, come consuetudine, sono stati anche festeggiati alcuni sacerdoti, religiosi e religiose per il 25°, 50°, 60° anniversario della loro consacrazione. Riportiamo i passaggi essenziali dell’omelia di S.E. Mons. Coccia.
La solennità liturgica di San Terenzio ci consente una puntuale riflessione sulla nostra identità di comunità cristiana chiamata ad interagire nel nostro territorio con gli uomini del nostro tempo, con i problemi e le sfide del nostro tempo… Questa identità si delinea nell’esperienza della convocazione, della comunione e della missione.
Comunità convocata
L’esperienza della fede come incontro con il Signore Gesù non è riconducibile a meriti acquisiti, a diritti vantati, alla nostra volontà. La fede ci è stata data poiché per una insondabile volontà di Dio, che ci ha amati, siamo stati chiamati, convocati. Se allora “amor con amor si paga” a noi spetta dare risposta in maniera cosciente, libera e totale a questa convocazione, nella certezza che essa si pone come necessità per vivere in pienezza la condizione umana. La nostra fede a volte è caratterizzata più da convenzione che da convinzione. Ma oggi, come non mai, ci si chiede di fare un’esperienza motivata della fede. Perciò tutti siamo chiamati a lasciarci interpellare dall’incontro con il Signore che chiede risposta nella libertà.
Chiamata alla comunione con il Risorto
Cari fedeli, il Signore Gesù che ci ha scelti non è il Signore della morte ma della vita e anche a noi ha affidato il ministero della riconciliazione per superare ogni forma di morte. E’ l’esperienza della comunione con il Risorto che ci rende protagonisti di risurrezione. Oggi siamo spesso immersi in una cultura segnata dalla morte: lo smarrimento del senso oggettivo dell’umano; la concezione della vita come bene di consumo e della famiglia fondata non sul matrimonio ma sui diritti individuali; la questione educativa ridotta ad acquisizione di “saperi tecnici”; il prevalere nelle relazioni del mito del “politicamente corretto”; la non sempre tutelata dignità della persona per mancanza di lavoro, come ci ha ricordato recentemente Papa Francesco; una visione del corpo sociale non basata sul bene comune
E’ dalla comunione con il Risorto che scaturisce nella comunità cristiana una coscienza critica con cui leggere la realtà socio-culturale del nostro territorio e l’impegno fattivo perché ogni eventuale forma di morte possa essere tramutata in forma di vita. Tutto ciò chiede di “sporcarsi le mani” in particolar modo ai battezzati laici a motivo della loro propria vocazione e missione, nella specificità di compiti, di ruoli e di competenze. All’inizio di un anno pastorale che vede la chiesa di Pesaro impegnata a promuovere la corresponsabilità dei laici, questa presa di coscienza si impone. Del resto anche per la chiesa che è in Italia è scoccata “l’ora dei laici”, come il recente Convegno diocesano ci ha indicato.
Chiamata alla missione
Siamo una chiesa convocata dal Signore, in comunione con il Signore risorto e perciò impegnata nella missione di annunciare il Cristo Risorto, andando verso le “periferie esistenziali”. La fede non è un fatto privato, ma ci impegna ad una presenza nel nostro contesto (e sottolineo nostro!) con convinzione, coraggio, intelligenza e determinazione. Non per motivazioni di semplice coerenza, ma perché la persona è relazione e nella relazione esprime tutta se stessa, anche nell’esperienza religiosa. Da qui nasce il diritto-dovere dei credenti laici di esprimersi nei vari ambiti della società, nel rispetto della sana laicità e dell’autentica democrazia. Tra l’altro tale presenza si pone come vera risorsa per la società e come contributo specifico nella società attuale, che è società al plurale.
E’ per questa ragione che alla comunità cristiana di Pesaro sta a cuore sempre più la formazione di un laicato maturo e responsabile che non rinunci all’espressione pubblica della fede e non la riduca a pura religione civile con funzione di cemento etico in grado di assicurare una tranquilla convivenza. Oggi ci sono nuovi poveri verso cui andare: coloro che hanno perso la fede; i nuovi cuori spezzati, feriti da amarezze e delusioni; i nuovi prigionieri avvitati nel proprio io; i nuovi schiavi del sistema benessere con i suoi parametri di vita. A questa variegata realtà umana, la chiesa di Pesaro, a cominciare dal suo laicato, è inviata per annunciare la buona notizia del Vangelo: “La fede non è luce che dissipa tutte le nostre tenebre, ma lampada che guida nella notte i nostri passi, e questo basta per il cammino (Lumen Fidei, 57).
San Terenzio ci aiuti ad essere sempre più una chiesa consapevole della sua vocazione, della sua comunione con il Risorto e della sua missione nella Pesaro di oggi. Sia lodato Gesù Cristo.
+ Piero Coccia
Arcivescovo