Dovere e urgenza suggeriscono di insistere e prolungare il discorso, iniziato nel numero 24 del nostro settimanale, sul matrimonio fra persone dello stesso sesso. Dopo Parigi e Madrid, anche Berlino e Londra hanno dato via libera. Quasi una frenesia legislativa su una questione che vuole attenzioni tutt’altro che parlamentari. Cultura, etica, religione e molte altre discipline vengono coinvolte.
Nel vecchio continente avanzano, più rapide e profonde del previsto, mutazioni di costume, di mentalità diffusa, di valori comuni e di società. Molti si chiedono, specialmente le Chiese, quali siano le radici e gli scenari futuri. Ma nel momento in cui si legifera la materia diventa espressamente socio-politica. Roma non vuole essere da meno. Le manca il coraggio di andare contro corrente. Qui da noi si parla di “unioni omoaffettive”. Un eufemismo.
Chi cerca di attenuarne la gravità, usando parole che nascondono il senso, specie se da parte del legislatore, non giova alla causa di chi è favorevole né di chi è contrario. La solita ipocrisia dei politici per carpire subdolamente il consenso. Chi ha preparato il decreto-legge (l’on. Giovanni Galan e, colleghi) dovrebbe considerare che la questione “matrimoni e nozze gay”, non è cosa che riguarda la sfera dei sentimenti, non la cultura e la fede religiosa, è cosa –avverte il giurista Francesco D’Agostino – rigorosamente sociale il cui dibattito si versa sul piano della politica.
Su questo piano il Parlamento è chiamato a legiferare, relazionando la questione alle esigenze del bene comune, come avviene in una buona e moderna democrazia. Questo è il problema ? Infatti, il matrimonio esiste primieramente per costruire comunità familiari alle quali la società affida (da sempre) il progetto intergenerazionale di convivenza. Altri elementi importanti non hanno valenza giuridica.
Quello che conta per il diritto è che il patto matrimoniale sia stipulato tra persone consapevoli e libere, responsabilmente proiettate in un futuro generativo. Tutt’altro le unioni omoaffettive. Secondo il decreto-legge non sono finalizzate a rispondere alle esigenze di convivenza: non sono coniugali (maschi e femmine), non sono generazionali (figli, famiglia, città, popolo).”.
Perché allora legalizzarle in senso matrimoniale correndo il rischio, molto concreto che in tal modo per una sorta d’inevitabile effetto mimetico, si aprano ulteriori strade alla legalizzazione del cosiddetto divorzio brevissimo …se non istantaneo?” si chiede D’Agostino. La dissoluzione del vincolo matrimoniale e della famiglia è all’orizzonte. C’è anche chi teme che la via di questo Occidente secolarizzato porti alla caduta delle penultime barriere legislative rispetto al futuro del matrimonio uomo-donna e della famiglia.
Raffaele Mazzoli